L’edilizia sociale in UE fatica a decollare. Tra sfide e criticità, vediamo nello specifico i casi di Italia, Francia, Germania e Spagna
La pandemia, la guerra in Ucraina e la Direttiva Case Green hanno cambiato (e stanno ancora trasformando) il parco immobiliare europeo. La transizione energetica e l’attuale crisi del costo della vita, tra gli altri, stanno imponendo nuove sfide al settore edilizio.
Di queste dinamiche tiene conto il rapporto “Lo stato dell’edilizia abitativa in Europa” realizzato da Housing Europe, la Federazione Europea dell’Edilizia Pubblica, Cooperativa e Sociale. Un intero capitolo del report punta il dito sulla necessità di affrontare il livello, ancora basso, di investimenti pubblici nello sviluppo edilizio e in particolare nell’edilizia sociale.
Qualche appunto sul contesto
Attualmente lo scenario edilizio in Europa è segnato da costi di costruzione e ristrutturazione in crescita. Di recente a questi si è aggiunto anche l’aumento dei tassi di interesse dei mutui delle abitazioni. Tali elementi, combinati insieme, stanno causando il rinvio o il ritardo di diversi lavori nel Vecchio Continente.
Fatta eccezione per alcuni casi, infatti, l’housing sociale stenta a decollare in Europa. Anche se la voce “alloggio sociale” appare in quasi tutti i Recovery Plan dei Paesi UE, i numeri evidenziano le difficoltà di accesso al sistema e parlano di miglioramenti ancora da attuare.
Come si legge nel rapporto, è ancora necessario uno sforzo significativo. I finanziamenti pubblici sono stati resi disponibili in alcuni Paesi attraverso l’uso di risorse dell’UE da fondi dei PNRR (come in Belgio, Spagna e Italia) e rappresentano per i fornitori di alloggi un’importante opportunità.
Housing Europe ha inoltre posto l’accento sul ruolo del social housing come strumento di transizione energetica. In termini di prestazioni, il patrimonio abitativo sociale UE mostra generalmente delle performance migliori rispetto all’edilizia privata. In Francia, per esempio, il 46% del patrimonio di alloggi sociali si qualifica come classe energetica A, B o C, rispetto a solo il 25% del totale delle abitazioni.
In Italia
I dati del 2023 dimostrano che in diversi Stati, come l’Italia, le strutture dedicate all’alloggio sociale non arrivano al 10% del patrimonio immobiliare totale.
All’inizio del 2024, nel nostro Paese, il Piano Casa aveva riacceso i riflettori sull’edilizia sociale. Tuttavia, le strategie avanzate dal Piano Salva Casa (culminato nel Decreto del 30 maggio 2024) hanno spostato il focus della questione, almeno per il momento.
I principali requisiti per richiedere un alloggio sociale in Italia sono tre: la cittadinanza italiana (o di uno Stato dell’Unione Europea), la residenza nella Regione o Comune di riferimento e il reddito. Quest’ultimo punto rappresenta il principale ostacolo nell’accesso agli alloggi. La selezione avviene tramite bandi stabiliti dagli operatori privati e la fascia di reddito richiesta arriva, a volte, fino a un ISEE di 40.000 euro per nucleo famigliare, o addirittura a 90.000 euro per nucleo all’anno.
L’offerta totale di social housing nella nostra nazione è di circa 20 mila abitazioni, oltre a 8 mila residenze temporanee e studentati. Per Confedilizia si tratta di numeri marginali, anche se evidenziano una crescita.
Il caso più urgente resta quello di Milano, uno dei punti nevralgici dell’emergenza abitativa in Italia. Nel 2019 alla Regione Lombardia sono stati assegnati quasi 50 milioni di euro nell’ambito dell’edilizia “convenzionata”. Nello specifico, per il capoluogo milanese l’assessore Pierfrancesco Maran ha fissato l’obiettivo di 10 mila alloggi sociali entro il prossimo decennio.
In Francia
In Francia il totale di immobili di housing sociale nel 2019 era del 16%. Nel 2020 si era prevista la realizzazione di 110.000 nuove unità immobiliari, ma ne sono state approvate solo 90.000.
Per quanto non sia semplice avere dei dati precisi sulle richieste di abitazione, Housing Europe ha stimato che nel 2019 le famiglie in attesa di accedere a un alloggio sociale erano circa 2 milioni.
Il Paese ora ha destinato 30 miliardi del Recovery Plan per le misure green, che riguardano appunto anche il rinnovamento delle abitazioni destinate all’housing sociale.
In Germania
Berlino ha testato diversi strumenti per rendere la casa più accessibile. Tra questi il divieto di realizzare opere volte alla gentrificazione di determinate aree (per preservarne il tessuto sociale) e l’introduzione di un tetto agli affitti, poi però ritenuto incostituzionale.
Per quanto riguarda l’housing sociale, al 2018 il Paese arrivava al 3% degli alloggi. Ciò è dovuto al peculiare sistema tedesco: gli alloggi sono affittati a canoni concordati tra l’affittuario e la regione di riferimento e bloccati per un periodo di tempo. Ogni anno, però, le unità immobiliari che concludono il periodo ad affitto bloccato (e vengono reimmesse nel mercato libero) sono più di quelle inserite nel sistema, con un numero totale di immobili dimezzato rispetto al 2000.
In Spagna
Nel 2020, gli alloggi sociali in Spagna rappresentavano solo l’1,1% del totale. Il Paese si trova attualmente in uno stato di emergenza abitativa, con il 70% dei cittadini a basso reddito che spendono oltre il 40% del loro salario per la casa.
Il Recovery plan spagnolo, “España Puede”, mira a colmare il gap che si è creato tra le strutture spagnole e quelle del resto dell’Europa. Il confronto è soprattutto con gli Stati più virtuosi: Danimarca, Olanda e Austria, che contano nel patrimonio immobiliare totale il 20% di alloggi sociali.
Fonti:
- Nuove Ri-Generazioni, “Lo stato dell’edilizia abitativa in Europa 2023”;
- FIAIP, “Arriva il report “State of Housing Europe 2023” sullo stato dell’edilizia residenziale in Europa”;
- La Sestina, “L’Housing Sociale in Europa non ingrana. Meno del 10% degli immobili in diversi Paesi” di Abba Maniscalco;
- Ansa, “Confedilizia, 20.000 alloggi di social housing in Italia”.