7 milioni di cittadini italiani ogni giorno si trovano in zone esposte al pericolo di frane e alluvioni. In 1.074 comuni, che costituiscono il 77% del totale dei comuni del Paese, esistono abitazioni in aree a rischio. Nel 31% addirittura interi quartieri e nel 51% ad esse in zone a rischio sono impianti industriali.
I numeri arrivano dal Dossier Legambiente Ecosistema Rischio 2016, l’indagine annuale sulle amministrazioni comunali per la mitigazione del rischio idrogeologico, realizzata sui dati forniti da 1.444 comuni che hanno partecipato al questionario inviato dall’Associazione ai Comuni in cui sono perimetrate aree a rischio idrogeologico.
Solo nel 2015 frane e alluvioni hanno causato in Italia 18 vittime, 1 disperso e 25 feriti, 3.694 persone evacuate o rimaste senza casa in 19 diverse regioni, 56 province, 115 comuni e 133 località.
“È evidente l’urgenza di avviare una seria politica di mitigazione del rischio che sappia tutelare il suolo e i corsi d’acqua e ridurre i pericoli a cui sono quotidianamente esposti i cittadini – ha dichiarato il responsabile scientifico di Legambiente Giorgio Zampetti, secondo quanto pubblica nel proprio sito la stessa Associazione – La prevenzione deve divenire la priorità per il nostro Paese, tanto più in un contesto in cui sono sempre più evidenti gli effetti dei cambiamenti climatici in atto. Per essere efficace però, l’attività di prevenzione deve prevedere un approccio complessivo, che sappia tenere insieme le politiche urbanistiche, una diversa pianificazione dell’uso del suolo, una crescente attenzione alla conoscenza delle zone a rischio, la realizzazione di interventi pianificati su scala di bacino, l’organizzazione dei sistemi locali di protezione civile e la crescita di consapevolezza da parte dei cittadini”.
Nonostante da anni sia chiara ed evidente la fragilità del territorio in ben il 10% dei comuni intervistati nell’ultimo decennio si è continuato a costruire in zone a rischio: nel 88% dei casi in aree a rischio di esondazione o a rischio di frana con la costruzione di abitazioni; nel 14% dei casi in tali aree sono sorti addirittura interi quartieri. Nel 38% l’edificazione ha riguardato fabbricati industriali. Nel 12% dei casi, invece, sono state costruite in aree a rischio idrogeologico strutture sensibili come scuole e ospedali, nel 18% strutture ricettive e nel 23% strutture commerciali.
Complessivamente, soltanto il 4% dei comuni intervistati ha intrapreso azioni di delocalizzazione di abitazioni dalle aree esposte a maggiore pericolo e appena nell’1% dei casi si è provveduto a delocalizzare insediamenti o fabbricati industriali. Il 68% dei comuni ha dichiarato di svolgere regolarmente un’attività di manutenzione ordinaria delle sponde dei corsi d’acqua e delle opere di difesa idraulica; nel 70% dei comuni campione sono state realizzate opere per la messa in sicurezza dei corsi d’acqua o di consolidamento dei versanti franosi.
Migliore la situazione per quanto riguarda l’organizzazione del sistema locale di protezione civile, fondamentale per rispondere alle emergenze in maniera efficace e tempestiva. L’84% dei comuni si è dotato di un piano di emergenza da mettere in atto in caso di frana o alluvione. Tuttavia, soltanto il 46% dei comuni intervistati ha dichiarato di aver aggiornato il proprio piano d’emergenza negli ultimi due anni. E se la legge 100 del 2012 ha stabilito l’obbligo di adottare un piano d’emergenza di protezione civile entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, ancora oggi, alcuni Comuni continuano a non adempiere a questo importante compito.
“Il tema della fragilità del territorio della nostra penisola deve diventare centrale nella riflessione comune a tutti i livelli di governo del territorio – ha continuato Giorgio Zampetti, sempre secondo Legambiente – e il lavoro per realizzare una effettiva mitigazione del rischio deve prevedere una improrogabile inversione di tendenza. Innanzitutto occorre fermare il consumo di suolo, programmare azioni che favoriscano l’adattamento ai mutamenti climatici e operare per la diffusione di una cultura di convivenza con il rischio che punti alla crescita della consapevolezza presso i cittadini dei fenomeni e delle loro conseguenze”.
Le città rappresentano oggi il cuore della sfida per l’adattamento ai cambiamenti climatici e agli affetti che essi comportano. È qui, infatti, che si produce la quota più rilevante di emissioni ed è qui che l’intensità e frequenza di fenomeni meteorologici estremi sta determinando danni crescenti, mettendo in pericolo vite umane e determinando danni a edifici e infrastrutture.
Foto credit: Previsioni Meteo