Progettazione urbana, situazione e rischio idrogeologico nell’88% dei Comuni italiani

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“Non esistono più le mezze stagioni”. Mai luogo comune fu più azzeccato
Il clima sta cambiando e questo è un dato ormai assodato. Purtroppo questo implica per le nostre città dei rischi concreti che vanno preventivati già in fase di progettazione urbana.

È stato questo il tema del Convegno, dal titolo “Sos acqua. Nubifragi, siccità, ondate di calore: le città e i territori alla sfida del Clima”, tenutosi a Roma il 20 giugno 2018 organizzato da Legambiente in collaborazione con Unipol.

Il punto di partenza è il Rapporto 2018 dell’Osservatorio Cittàclima. Al centro dell’attenzione di nuovo l’acqua. Risorsa strategica e fattore di rischio considerevole per le nostre città.

Basti pensare che, dal 2010 al 2017, le sole inondazioni hanno provocato in Italia la morte di 157 persone. Nonché l’evacuazione di oltre 45mila abitanti, secondo i dati del Cnr.

Al contempo, però l’accesso all’acqua rischia di diventare sempre più difficile da garantire nelle aree urbane in una prospettiva di cambiamenti climatici.

La Commissione Europea ha adottato nel 2013 la comunicazione “Strategia di adattamento ai cambiamenti climatici dell’UE”, con l’obiettivo di stimolare e aiutare i paesi dell’Unione a pianificare piani di intervento già in fase di progettazione urbana. A tal proposito, tra l’altro, sono stati già stanziati fondi specifici. Purtroppo non si è ancora arrivati ad un accordo politico che permetta una Direttiva per l’adattamento di tutti i singoli piani nazionali in una prospettiva comunitaria.

Nonostante questo in Europa molte sono le Nazioni che sono corse ai ripari: 28 Paesi hanno già predisposto delle strategie di adattamento e 18 di questi hanno un piano d’azione nazionale o regionale.

Tradimalt - Dissesto idrogeologico

L’Italia è indubbiamente uno dei Paesi con il più alto rischio idrogeologico. Lo dicono i numeri. L’88% dei comuni ha almeno un’area classificata come a rischio idrogeologico (Dati Ispra), si parla di più del 15% del territorio nel quale vivono oltre 7 milioni di persone.

Le politiche attuate sia in materia di clima che di messa in sicurezza si sono dimostrate il più delle volte contraddittorie e frammentarie.

Se da un lato il Ministero dell’Ambiente ha predisposto una strategia di adattamento impossibile da attuare per mancanza di risorse, dall’altro la Struttura di Missione #Italiasicura porta avanti interventi per far fronte alle emergenze idrogeologiche. Emergenze che vengono affrontate tramite progetti, il più delle volte obsoleti, nati dalla concertazione tra Regioni, Comuni e commissari per le emergenze.

Risultato? Risorse sprecate e interventi che “fanno da pezza” senza tener conto delle reali criticità di questa condizione climatica complessa. Altro che progettazione urbana!

I punti fermi emersi dal Rapporto di Legambiente sono però importanti:

  1. Necessità di un’unica regia, guidata dal Governo, sulle strategie climatiche che coinvolga diversi Enti e tutti i Ministeri, compreso quello della Salute.
  2. Predisporre una pianificazione dettagliata già a livello del piano nazionale di adattamento al clima, che è in corso di redazione. In questo modo si potranno avere riferimenti concreti sia dei finanziamenti disponibili (in questo senso quelli europei per l’azione climatica saranno rilevanti nei prossimi anni) sia degli interventi di messa in sicurezza del territorio italiano da attuare nei prossimi anni.
  3. Strutturare gli obiettivi in modo diverso. La focalizzazione dovrebbe essere innanzitutto sul cambiamento climatico in atto per evitare di perpetrare progetti inadeguati e anacronistici.
  4. È necessario in vista dei precedenti punti, rafforzare il monitoraggio degli impatti sanitari dei cambiamenti climatici e avviare piani di adattamento e tutela degli ecosistemi più delicati.
  5. Stabilire una regia unica per gli interventi sulla costa, dove circa un terzo è a rischio erosione con una situazione che può solo peggiorare negli anni a seguire.
  6. Strutturare una politica di delocalizzazione degli edifici in aree a rischio, come tra l’altro già previsto dal comma 118 della Legge di Stabilità del 2014.

In realtà in Europa gli esempi virtuosi e l’applicazione di buone pratiche sono già in atto, perché non prenderne spunto?

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