In un periodo di insofferenza e intolleranza Renzo Piano, il celebre architetto, racconta la sua personale visione del viaggio. “Il viaggio è scoperta, è vita” dice.
In una bella intervista di Mariagrazia Barletta di Professione Architetto, il vincitore del Premio Pritzker, Renzo Piano, parla ai giovani, soprattutto a quelli che si avvicinano a questa professione.
Da sempre attento all’ecosostenibilità e all’istruzione, ha indetto il Renzo Piano World Tour, da poco conclusosi. Questo premio internazionale ha permesso a tre giovani architetti di viaggiare per il mondo alla scoperta delle opere dei grandi maestri dell’architettura.
Questo programma formativo è, infatti, lo specchio della sua filosofia: allontanarsi dall’Italia è un bene, a patto però di ritornare. Bisogna rendersi conto che fortuna sia stata essere nati proprio qui.
Ciò, secondo Piano, non è possibile comprenderlo senza andar via. È un problema di assuefazione. La bellezza e la bruttezza sono concetti ai quali ci si abitua e spesso se ne perde la percezione. La ricchezza ambientale e culturale della nostra penisola i giovani, e non solo loro, probabilmente non la vedono più.
“Il viaggio è un po’ come andare in una grande biblioteca a cercare un libro: è vero che cerchi quel libro, ma cercando quel libro ne trovi molti altri. C’è la sorpresa, c’è la scoperta e poi c’è il capire che ti è toccata una fortuna: sei nato in Italia. Questa è una cosa piuttosto importante”.
Il trucco per avere successo, suggerisce il celebre architetto, è senza dubbio prendere quello che c’è di buono da tutti. È un bene, perciò, avere tanti maestri.
Maestri come quelli delle botteghe rinascimentali, quelle dove impari senza chiedere, assorbendo e “rubando il mestiere”, con la volontà di restituire ad altri un giorno, anche aggiungendo qualcosa di nuovo, di tuo.
Fare schizzi, prendere appunti, è alla base di tutto. Perché lo schizzo è metafora dell’idea, della quale, però, non ci si deve innamorare.
Bisogna sempre tenere a mente che è il punto di partenza per continuare a pensare alla realtà, che, invece, è rappresentata dall’architettura stessa.
“Ci sono i computer che ti fanno delle cose che sono bellissime, a modo loro, ma sono sempre le stesse ed è una cosa terribile, spaventosa”. “I rendering, questa specie di simulazioni, sono sempre bugiardi: o sono ben fatti e sono bugiardi perché ti illudono o sono malfatti e sono bugiardi perché ti deprimono”.
“La creatività dell’architetto è una cosa da condividere” e quando lo fai “non dev’essere solo con altri architetti, ma anche con ingegneri e costruttori”.
Lavorare in gruppo struttura sempre una “rete di salvezza” sotto molti punti di vista. Avere idee, lampi di genio, è piuttosto facile. Ma quando si decide di provare, di buttarsi in qualcosa di nuovo, l’errore è sempre dietro l’angolo. Gli altri, invece, sono la tua protezione.
Ascoltare e confrontarsi, però, non devono diventare sinonimo di ubbidienza, ma lo spunto per imparare a ragionare e riflettere. Fare l’architetto, infatti, è rischioso: è un’arte pubblica in cui non si può e non si deve sbagliare.
“Se ti occupi di frivolezze puoi anche sbagliare, tanto non importa a nessuno, ma se ti occupi di cose serie non puoi sbagliare perché il tuo sbaglio va a pesare su tutti”.