Countryside, the future. Una mostra per ritornare a pensare.
In questi giorni di isolamento forzato la lettura critica può rivelarsi una grande risorsa. Il mondo dopo il Coronavirus non sarà, e non deve essere, più lo stesso.
Alcune delle grandi problematiche emerse negli anni bussano alla porta con prepotenza e stare a guardare non è davvero più possibile.
Tante domande, poche risposte e molti punti su cui porre l’attenzione.
Lo spunto, un lungo ed elaborato articolo di Stephen Zacks pubblicato su Abitare. La mostra, curata da Troy Conrad Therrein, ci mette davanti ad uno dei temi più largamente ignorati del nostro tempo: gli effetti dirompenti che la modernità ha avuto sulle campagne.
Una serie di domande che conducono lo spettatore verso una riflessione introspettiva sull’attuale collasso ecologico e del malessere sociale che ne consegue.
Per Zacs “è il tipo di mostra che gli architetti dovrebbero visitare e che i musei dovrebbero sponsorizzare continuamente, capace di porre grandi questioni che vanno ben oltre la sfera del progetto architettonico o dell’esposizione di una collezione”.
Un viaggio simbolico che segue una “metodologia delle grandi curiosità” al posto di quella dei grandi dati. Un racconto di come facciamo il mondo, per chi e con quali conseguenze.
“Perché ci siamo votati all’economia del mercato proprio quando la scienza ha capito che il cambiamento climatico incombeva su di noi?”, “Proveremo ancora una volta il comunismo?”, “Sarà l’Intelligenza artificiale a fornirci l’alibi per liberarci dell’umanità una volta per tutte?”, “Il regionalismo critico ha suggerito una pausa, un momento dedicato alla riflessione e alla resistenza?”, “Possiamo re-imparare il romanticismo?”, “Può la campagna elaborare progetti propri?”, “Se diventasse un affare vantaggioso le grandi aziende si convertirebbero alla salvaguardia del mondo?”.
La logica conclusione di tutto il percorso è che la modernità ha avuti effetti dirompenti e radicali sulla vita delle campagne nello stesso modo in cui li ha avuti sulle città. Ma la campagna è un mondo ignorato e che ignoriamo a nostro rischio.
Le soluzioni pratiche sono tutte nella mostra: la trasformazione del deserto del Qatar in un terreno agricolo altamente produttivo, in grado di rifornire la regione con il suo surplus. La grande muraglia verde (completa solo al 15%) nel Sahel, realizzata per combattere la desertificazione. Le app digitali che consentono ai produttori cinesi di controllare la distribuzione dei raccolti. Soluzioni futuriste tutte all’insegna dell’ottimismo.
La scelta di Nixon: l’inizio della fine?
Ma, la verità ultima, quella su cui riflettere, è contenuta nell’ultimo pannello della mostra. Nella sezione pianificazione statale. Riportiamo alla lettera la descrizione che Zacks ha fatto nel suo articolo. Che diventi lo spunto per tutti noi per raggiungere nuove consapevolezze e per decidere di vedere Countryside, the future dal vivo quando questo sarà di nuovo possibile.
“Sicco Manshault, il primo commissario per l’agricoltura di quella che sarebbe diventata l’Unione Europea, aveva concepito una politica di riforma agraria che incrementava molto la produttività del settore agricolo del subcontinente.
Tutto l’Occidente godeva di una certa prosperità, ma nel 1971 il sistema economico cominciò a risentire di una stagnazione e di un’inflazione elevatissima. Il rapporto di Manshault del 1972, The Limits of Growth, metteva in discussione il presupposto dell’espansione senza limiti, teorizzando un’alternativa sostenibile.
Nel 1973, avvenne l’esatto contrario: il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon rinunciò al controllo valutario che aveva dato stabilità al mondo occidentale e sostenuto la crescita della classe media a partire dagli anni Cinquanta. Nasceva così un nuovo settore della finanza costruito su mercati totalmente privi di regole e su un’estrema disuguaglianza”.
Credit Foto: Luca Locatelli