Recovery Plan, la proposta di Legambiente per la gestione delle risorse

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Verde, vivibile, innovativa e inclusiva: è l’Italia immaginata da qui al 2030 da Legambiente, se sarà capace di sfruttare le opportunità e le risorse messe in campo dall’Europa con il Next Generation EU.

Il Recovery Plan di Legambiente arriva dopo 5 mesi di dialogo con istituzioni, imprese, associazioni e sindacati e una lunga redazione collettiva e condivisa.

23 priorità di intervento, 63 progetti territoriali da realizzare, 5 riforme trasversali necessarie per accelerare la transizione ecologica dell’Italia affinchè sia più sostenibile e moderna.

I progetti da realizzare e quelli da evitare

A fare da bussola per la redazione del suo Recovery Plan a Legambiente è stata la lotta alla crisi climatica. Tra i progetti infrastrutturali da finanziare l’associazione ambientalista indica l’Alta Velocità nel centro Sud, le reti ferroviarie di Sicilia, Calabria, Basilicata, Molise, Campania, Sardegna, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, Veneto e Lombardia; l’elettrificazione dei porti; l’idrovia Padova Venezia; la chiusura dell’anello ferroviario di Roma.

E poi le delocalizzazioni degli edifici a rischio idrogeologico in Calabria, Sardegna e Umbria; la digitalizzazione nelle aree interne e una nuova fruibilità turistica delle aree montane come nelle Marche, dove an­drebbero finanziate le connessioni ciclopedonali, che mancano, tra Appennino e costa adriatica; la riqualificazione dell’edilizia popolare (messa in sicurezza ed efficientamento energetico) e degli istituti scolastici in Campania; il progetto integrato sulla “città adriatica” nelle Marche.

Da evitare, invece, il ponte sullo stretto di Messina, un’opera che, “oltre ad essere costruita in zona ad alto rischio geotettonico e sismico e a compromettere ambienti marini, costieri ed umidi di eccezionale bellezza – si legge nel documento – impegnerebbe ingenti risorse economiche distraendole dalla priorità di rendere più moderna e civile la mobilità in Calabria”.

Relativamente all’edilizia, Legambiente propone di finanziare la proroga del Superbonus al 2025 con revisione dei criteri tale da promuovere l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili in sostituzione delle caldaie a gas.
Da non finanziare invece: gli incentivi per la riqualificazione edilizia non collegati a un miglioramento reale delle prestazioni energetiche (come purtroppo avviene con l’attuale sistema di incentivi in vigore per il 110% che viene garantito con l’aumento di solo 2 classi energetiche dell’edificio) e gli incentivi per la sostituzione di impianti di riscaldamento che prevedano l’installazione di caldaie a gas.

Le riforme trasversali

Legambeinte indica poi le numerose riforme necessarie per ciascuna delle 23 priorità di intervento individuate, a cui se ne affiancano altre 5 trasversali, da mettere in campo per accelerare la transizione ecologica:

1) velocizzare l’iter autorizzativo con le semplificazioni all’iter di approvazione dei progetti;
2) combattere la concorrenza sleale con il miglioramento qualitativo dei controlli ambientali attraverso il potenziamento del Sistema Nazionale di Protezione dell’Ambiente;
3) istituire una governance efficace con una Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri sul modello di quanto già fatto, con risultati incoraggianti, sul rischio idrogeologico e sull’edilizia scolastica;
4) aumentare le competenze della pubblica amministrazione con un vasto programma di formazione e aggiornamento professionale;
5) ridurre i conflitti territoriali con una nuova legge sul dibattito pubblico per la condivisione e la partecipazione di cittadini e istituzioni locali che potenzi quanto già previsto da Codice degli appalti e Valutazione di impatto ambientale.

I commenti

“Questi interventi – ha spiegato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, secondo quanto si legge nel comunicato stampa dell’associazione – devono essere accompagnati da un profondo pacchetto di riforme per accelerare la transizione ecologica: servono più semplificazioni, controlli pubblici migliori, un’organizzazione burocratica aggiornata professionalmente e all’altezza della sfida, una maggiore partecipazione con una nuova legge sul dibattito pubblico che riguardi tutte le opere per la transizione verde, per coinvolgere i territori e ridurre le contestazioni locali. Solo così si darà concretezza al nome scelto per il PNRR: Next Gene­ration Italia, con un forte richiamo agli impegni che si assumono per le prossime generazioni. Ma perché alle intenzioni dichiarate corrispondano i fatti è necessaria quella volontà politica che non abbiamo visto finora. È il momento di mostrarla”.

Per l’associazione ambientalista il piano proposto dal Governo è “privo di una bussola, dove la grande assente tra le priorità trasversali è proprio la crisi climatica (che andrebbe affiancata a parità di genere, sud e giovani) e dove manca la messa a punto di obiettivi, strumenti e interventi dettagliati, coerenti e integrati tra loro, tale da delineare la visione del Green Deal Italiano e le tappe della transizione per tradurlo in realtà.

Nel Piano governativo arrivato in Parlamento il 15 gennaio 2021, non compare più infatti l’allegato con le schede progetto circolato il 29 dicembre scorso e questo non rende possibile un’analisi approfondita e puntuale. Ma una descrizione più generale di quello che si vuole finanziare c’è ed è sufficiente per valutare gli errori del Piano. Solo per fare un esempio nel PNRR proposto dal Governo alle opere ferroviarie per la connessione veloce vanno quasi 27 miliardi di euro (la fa da padro­na l’Alta velocità e la velocizzazione della rete con poco meno di 15 miliardi di euro) e 18,5 all’efficientamento termico e sismico dell’edilizia residenziale privata e pubblica. Sono di gran lunga più contenute le risorse destinate a produzione e distribuzione di energia da fonti rinnovabili (9); al trasporto locale e alle ciclovie (7,5) a cui andrebbero destinate più risorse, all’economia circolare (4,5 miliardi di euro), che pure vede l’Italia come paese leader in Europa, il rischio idrogeologico (3,6), che interes­sa il 91,1% dei Comuni, l’agricoltura (2,5), motore indispensabile del “made in Italy” agroalimentare”.

Foto credit: S. Hermann & F. Richter

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