Fotovoltaico, addio gli incentivi governativi? Da un’indagine svolta dall’Istituto Format (per conto di Somedia) risulta che solo il 26,4% dei cittadini italiani conosce – e solo in termini generali – “il fotovoltaico”.
Dove va l’Italia e dove potrebbe andare sopratutto la Sicilia. Un argomento strategico per lo sviluppo dell’intero comparto edile e di tutta l’economia del Sud.
I processi di antropizzazione connessi allo sviluppo del settore energia hanno determinato “impronte” sul nostro pianeta ormai indelebili. Non resta che provare a ridurre i consumi energetici e affidare la produzione dell’energia ad un mix equilibrato di fonti.
In un contesto tale, ove alle questioni di sostenibilità, di economicità e di rispetto dell’ecosistema, si sommano i temi della modernizzazione e dell’innovazione tecnologica dei paesi industrializzati (e più inquinanti), nel particolare riferimento all’energia elettrica, lo sfruttamento della risorsa solare ha assunto in questi anni, inevitabilmente, un ruolo di prim’ordine.
La gran parte delle attività di ricerca e di sviluppo del settore si è concentrata proprio sulle tecniche e sulle metodologie innovative di conversione della fonte solare in energia elettrica.
Ma l’Italia come sta operando? Qual è lo stato dell’arte sugli incentivi?
Sul quarto conto energia arrivano informazioni confuse e parziali. Certamente non definitive e comunque poco promettenti.
Tra gli operatori maggiormente interessati dal nuovo conto energia ci sarebbero quelle società che puntano sul solare cosiddetto “diffuso”, quello cioè dei pannelli installati sui tetti delle abitazioni – e per quello detto anche “domestico” che consentono alle famiglie di produrre autonomamente l’energia che consumano e di vendere alla rete i kW prodotti in eccesso.
Sono per lo più queste società, molte delle quali affiliate ad Assosolare – l’Associazione Nazionale dell’Industria Solare Fotovoltaica, ad evidenziare un comportamento quantomeno “tiepido” da parte del Ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani, che risulterebbe accusato di essere “indifferente” rispetto alle legittime aspettative dell’imprenditoria del settore.
Difatti la bozza del quarto conto energia, quello che deciderà i nuovi incentivi per l’energia del sole, è in discussione ormai dagli inizi di marzo e gli operatori del fotovoltaico, dopo la mancata scadenza promessa dal governo, cominciano a spazientirsi. E anche le famiglie.
Ma entriamo nel merito provando a fare quattro conti.
I dati ormai parlano chiaro, basti farne una elaborazione semplice semplice: “Un piccolo impianto da 3 kWp produce mediamente 4.000 kWh all’anno. Se cinque milioni di famiglie italiane (su un totale di 22 milioni) installassero sul tetto di casa un piccolo impianto, si potrebbero produrre 20 miliardi di kWh per una potenza installata di 20.000 MW: il 30% circa del fabbisogno energetico complessivo delle famiglie (stimato intorno ai 67 miliardi di kWh) e il 6% del fabbisogno nazionale (pari a 317,6 miliardi di kWh)” (Dati ENER20).
Ora, se le grandi centrali a gas hanno una potenza di 800 MW e i reattori nucleari di circa 1.600 MW – giusto per sfiorare un tema di cocente attualità – facile è dedurre che “sui tetti delle famiglie italiane c’è il potenziale equivalente di numerose centrali tradizionali o nucleari e di almeno tre reattori nucleari in termini di energia prodotta”. Quasi si potesse, con i tetti delle nostre case, compiere un terza rivoluzione industriale, con la trasformazione delle famiglie “da centri di consumo in centri di produzione”, eliminando le perdite di rete (di trasmissione e distribuzione) e dando stimolo all’occupazione locale con manodopera specializzata.
Come creare se no occasioni di sviluppo, di lavoro e di reddito?
E perché non farlo in modo così virtuoso in tempi di crisi economica e di collasso ambientale?
L’accento sui benefici ambientali legati all’utilizzo di questa tecnologia è inevitabile. L’energia elettrica prodotta con il fotovoltaico ha un “costo nullo per combustibile”: per ogni kWh prodotto si risparmiano circa 250 grammi di olio combustibile e si evita l’emissione in atmosfera di circa 700 grammi di CO2, nonché di altri gas responsabili dell’effetto serra, con un sicuro vantaggio economico e soprattutto ambientale per la collettività.
Inoltre si può valutare in 30 anni la vita utile di un impianto (ma molto probabilmente dureranno anche più di 50 anni); il che significa che un piccolo impianto da 2-4 kWp, in grado di coprire i due terzi del fabbisogno annuo di energia elettrica di una famiglia media italiana (2.500-4.500 kWh/anno), produrrà, nell’arco della sua vita efficace, quasi 150.000 kWh, con un risparmio di circa 30 tonnellate di combustibili fossili, evitando l’emissione di circa 110 tonnellate di CO2!
Appare purtroppo oggi sempre più lontano il Programma avviato nel 2001, poi fortemente sostenuto nel 2005 e ancora nel 2007 dal Ministero dell’Ambiente, di concerto con il Ministero delle Attività Produttive, allo scopo di promuovere e diffondere la tecnologia fotovoltaica che inizialmente prevedeva contributi in conto capitale nella misura massima del 75% del costo dell’investimento (IVA esclusa) per la realizzazione di impianti fv di piccola potenza (da 1 a 20 kWp) collegati alla rete elettrica ed integrati nelle strutture edilizie, come tetti, terrazze, facciate, elementi di arredo urbano.
E lontani appaiono anche i Programmi di cofinanziamento gestiti dalle Regioni. Per la regione Sicilia, per esempio, vennero emanati allora n.3 bandi di partecipazione attraverso cui poter presentare domande di erogazione del contributo all’interno della Misura 1.17 del POR Sicilia 2000 – 2006.
Già allora il tutto era ampiamente sostenuto da stime assai soddisfacenti in termini di produttività, soprattutto per le regioni meridionali. I dati diffusi a suo tempo dal GSE così enunciavano:
“Per un impianto da 1 kW di potenza nominale, con orientamento ed inclinazione ottimali ed assenza di ombreggiamento, non dotato di dispositivo di “inseguimento” del sole, in Italia è possibile stimare le seguenti producibilità annue massime: ●regioni settentrionali 1.100 kWh/anno; ●regioni centrali 1.400 kWh/anno; ●regioni meridionali 1.600 kWh/anno “
Infatti è noto che la quantità di energia solare che arriva sulla superficie terrestre – e che può essere utilmente “raccolta” da un dispositivo fotovoltaico – dipende dall’irraggiamento del luogo; in Italia, l’irraggiamento medio annuale varia dai 3,6 kWh/m2/giorno della Pianura padana, ai 4,7 kWh/m2/giorno del centro-Sud e ai 5,4 kWh/m2/giorno della Sicilia.
Se poi si pensa che è possibile, in località favorevoli, raccogliere circa 2.000 kWh/anno da ogni metro quadro di superficie, il che è l’equivalente energetico di 1,5 barili di petrolio per metro quadrato, nasce automatico il rimando alle opache scelte politiche degli anni ‘60…ai quanti scempi sulle coste siciliane si sarebbero potuti evitare nella storia della nostra isola, mortificata nei suoi luoghi più affascinanti come Siracusa, Milazzo…da mostruose raffinerie, inquinanti e mortali, ove il sole certo non è mai mancato.
E perché, proprio in forza delle nuove tecnologie, non pensare di riconvertire, soprattutto in Sicilia, tali centrali di produzione ormai desuete e incentivare le rinnovabili con leggi chiare e procedimenti veloci, certi di creare occupazione e sviluppo duraturi non solo nel comparto (decine di migliaia di addetti) ma anche nell’indotto edilizio e artigiano connesso al mondo delle ristrutturazioni e degli adeguamenti auspicati dalla normazione sulla certificazione energetica! Magari facendo i dovuti distinguo tra gli impianti “a terra” – più invasivi – e gli impianti “integrati” a impatto zero, ma evitando di interrompere o di appesantire, con una burocrazia elefantiaca, un processo che è intrinsecamente sano.
Considerando le caratteristiche proprie e il grande potenziale, anche in assenza di prospettive certe sulla riduzione dei costi, i tecnici di settore ritengono che il fotovoltaico possa essere comunque sviluppato ai migliori livelli possibili, non foss’altro che per precostituire una opzione di riserva e per far fronte a eventuali emergenze energetiche e ambientali, sempre possibili nei decenni a venire.
In sintonia con quanto già in essere in altri paesi, anche in Italia si sta operando un sensibile sforzo per lo sviluppo di applicazioni idonee all’integrazione del fotovoltaico nelle strutture edilizie, il cui mercato sembra il più promettente per i prossimi anni.
Si pensi allo sviluppo di linee di ricerca che conseguano una vera integrazione, in modo da ottenere un componente fotovoltaico che sia elemento poli-funzionale da inserire nell’architettura degli edifici (ma anche negli elementi strutturali e nei prefabbricati a uso industriale), che sia un prodotto-base di impianti tecnologici a servizio di strutture edili, idonei, oltre che a produrre energia elettrica, anche al recupero di energia termica. Insomma, è un settore/mercato davvero multi-sfaccettato e assai valido.
C’è da augurarsi insomma che per questa rivoluzione “pulita”- ormai in atto dal 2005 attraverso una più solida e azzeccata politica degli incentivi ben accolta anche in Sicilia – e che la conclamata, quanto dimostrata, convenienza economica insieme alle giustificate istanze di salvaguardia dell’ecosistema, il legislatore statale e regionale non vogliano interromperla: sarebbe una incomprensibile e sconveniente scelta in contro tendenza.
Con la crisi di risorse e di opportunità che vive la nostra terra “baciata dal sole”, sarebbe davvero un suicidio.