Con l’ambizioso progetto “la via dei Borghi”, l’ESA e la Regione Sicilia, hanno programmato il recupero e la valorizzazione di insediamenti abbandonati dove la Storia, passata velocemente, ha lasciato tante piccole storia ancora da raccontare come nel più antico Borgo Pantano, già recuperato con il contributo di Tradimalt.
I borghi italiani hanno costituito per secoli l’ossatura su cui si è fondata la rinascita urbana di un territorio attraversato con regolarità da sconvolgimenti sociali, politici e amministrativi.
Oggi, dopo un prolungato oblio, la più piccola dimensione dell’abitare sta prepotentemente tornando alla ribalta come naturale contrapposizione alla dispersione metropolitana oppure come logica soluzione all’abbandono diffuso.
Gli effetti si misurano su un ampio ventaglio di iniziative che vanno dalla sfera istituzionale della Strategia Nazionale delle Aree Interne fino a veri e propri contest televisivi che vedono i borghi opporsi – non senza le immancabili polemiche da post partita – sui campi della storia, delle eccellenze e della qualità della vita.
Tra i borghi, quelli sorti negli anni ’40 del secolo scorso per la colonizzazione del latifondo siciliano – questo il nome della Legge n.1 del 2 gennaio 1940, emanata solo sei mesi prima della dichiarazione di guerra alla Francia – rappresentano forse uno degli ultimi esperimenti urbanistici del fascismo stretto ormai tra l’autarchia e l’imminente disfatta.
L’Impero iniziava a cigolare e il posto al sole conquistato con la spada garantiva solo incertezze all’aratro italico. Per questo occorreva ribaltare la strategia, impegnando le braccia in attività di sicuro effetto positivo sulle masse, dentro i sacri confini.
Così, mentre Cristo si fermava ad Eboli, la Sicilia diventava la nuova frontiera di conquista e luoghi lontanissimi dai centri urbani, divennero l’obiettivo dell’Ente per la Colonizzazione del Latifondo Siciliano, emanazione del Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste.
Il numero dei Borghi Rurali siciliani è ancora imprecisato, considerando anche che molti di essi rimasero sulla carta o in fase di realizzazione al momento dell’Armistizio; tuttavia molti studi recenti hanno riportato luce su questo patrimonio storico utilizzato pochissimo, prima che gli eventi portassero al suo abbandono (on line, ad esempio, esiste una mappatura in progress di questa rete di micro città, oggi svuotate di senso e di memorie).
I Borghi ricalcavano le più semplici caratteristiche dei nuclei urbani; oltre alle necessarie case coloniche (spesso preesistenti) la Legge prevedeva la strutturazione di servizi – diremmo oggi – essenziali: la chiesa che domina la piazza, la scuola, piccoli presidi sanitari. Tutto quello che occorreva per impiantare una nuova comunità autonoma dove prima imperava il latifondo.
L’ESA, ovvero l’Ente di Sviluppo Agricolo regionale che ha rilevato giuridicamente e patrimonialmente queste testimonianze architettoniche del passato, ne ha censiti almeno 50 con il progetto “La via dei Borghi” avviato nel 2009, ricomprendendo anche quelli realizzati – con un diverso spirito ma con la medesima funzione sociale – negli anni ’50.
Nel febbraio del 2019, l’Assessore Sebastiano Tusa, in uno degli ultimi suoi atti prima del tragico incidente aereo nel quale ha perso la vita, ha siglato un accordo con l’ESA per inserire nel progetto altri due borghi: Borgo Pietro Lupo, nel comune di Mineo, e Borgo Libertina, nel comune di Ramacca. L’obiettivo è quello di avviare il recupero materiale dei borghi attraverso progetti pilota per poi mettere in rete un primo sistema di 12 borghi oggi scollegati ma ancora utili per frenare il deflusso di funzioni e abitanti dalle aree interne, anche nell’ottica di valorizzare percorsi di visita ciclo turistico o ippovie per la scoperta lenta del territorio.