L’antico Pantheon romano, il modernissimo Burj Khalifa (il grattacielo più alto al mondo) e il ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao in Cina sono progetti molto differenti tra loro, accomunati solo da un particolare: essere stati realizzati in calcestruzzo.
Versatile, resistente, durevole. Dalla sua prima comparsa, più o meno ai tempi degli Assiri, il calcestruzzo (o conglomerato) è stato costantemente lavorato e migliorato per essere all’altezza delle più diverse esigenze costruttive.
Già gli antichi romani avevano messo a punto uno speciale impasto a base di calce, acqua, sabbie pozzolaniche, mattoni e pietre macinate. Il termine “calcestruzzo” deriva infatti dal latino “calcis structio”, ovvero struttura a base di calce. Studi recenti hanno dimostrato la capacità autorigenerativa di questa miscela, spiegando come hanno fatto ponti e acquedotti di epoca romana ad arrivare quasi intatti fino ai giorni nostri.
La svolta per il calcestruzzo risale ai primi decenni dell’Ottocento, quando l’ingegnere francese Louis-Joseph Vicat, nel tentativo di ricreare artificialmente il comportamento dei leganti naturali (calce e pozzolana), finì per creare il cemento.
Sul finire dello stesso secolo il giardiniere Joseph Monier brevettò il calcestruzzo armato. L’idea di Monier era realizzare dei vasi più resistenti di quelli in terracotta: per farlo, provò a usare una rete di ferro annegata nell’impasto di cemento.
Nel nostro Paese il calcestruzzo si è affermato come materiale edile solo dopo il terremoto di Messina nel 1908, quando ci fu la necessità di costruire edifici solidi e sicuri in tempi relativamente brevi.
Da allora questo materiale è la prima scelta di architetti e progettisti e oggi, in linea con le recenti tendenze costruttive, si presta anche a servizio del bello e dell’estetica oltre che della funzionalità.
La “ricetta” del calcestruzzo
L’ingegnere Pier Luigi Nervi una volta parlò del calcestruzzo come di “pietra fusa” per descriverne l’elevata versatilità, capace di dare forma alle idee architettoniche più estrose. Il segreto sta nel mix-design, lo studio della miscela, che consente ai produttori di trovare la ricetta dell’impasto adatta alle prestazioni desiderate.
In parti variabili, il calcestruzzo è formato da:
- legante: è l’elemento che reagisce con l’acqua e funge da collante tra i vari componenti dell’impasto, formando un prodotto monolitico. Ne esistono di vari tipi e i più utilizzati sono quelli idraulici come il cemento e il cemento di Portland;
- acqua: serve a sviluppare le reazioni chimiche per l’attivazione del legante;
- aggregati: formano l’ossatura del calcestruzzo e si distinguono in grossi e fini in base alla dimensione. Sono chiamati anche inerti e possono essere di origine naturale, derivanti dalle cave, oppure ottenuti frantumando rocce più grandi. Se ne riconoscono tre categorie principali: sabbia, ghiaia e inerti speciali;
- additivi: non sono essenziali, ma servono a migliorare le proprietà dell’impasto. Quelli più usati sono:
- fluidificanti: aumentano la lavorabilità del calcestruzzo;
- acceleranti/ritardanti: intervengono sulla durata dei processi di presa e indurimento;
- antigelivi: impediscono all’impasto di gelare;
- aeranti: aiutano a sviluppare una struttura ad alveoli con un peso specifico più basso.
Non esiste una ricetta perfetta: le percentuali e la qualità dei componenti vengono scelti in base alle caratteristiche che si richiedono al prodotto indurito. La miscela fluida di calcestruzzo sviluppa la presa in un tempo compreso tra i 45 minuti e le 12 ore. L’indurimento, invece, si raggiunge in 28 giorni.
Differenze tra cemento e calcestruzzo
Sono spesso usati come sinonimi, ma non sono lo stesso materiale. Come si è visto, il cemento è uno degli elementi che costituiscono il calcestruzzo ed è una polvere ottenuta dalla miscela di silicati di calcio e alluminati di calcio. L’equivoco nasce dal fatto che si tende a chiamare il calcestruzzo armato anche cemento armato.
Per fare chiarezza:
- il cemento miscelato all’acqua produce la pasta di cemento;
- se la pasta è lavorata con un aggregato fino si ottiene la malta di cemento;
- quando, invece, la pasta è lavorata con aggregati di diverse dimensioni, secondo una determinata curva granulometrica, si ottiene il calcestruzzo;
- se al calcestruzzo si aggiunge un’armatura in barre di acciaio si realizza il calcestruzzo armato.
Le tipologie sul mercato
Variando i componenti di base e le loro percentuali è possibile ottenere diverse tipologie di calcestruzzo. Le più comuni sono:
- normali: sono i classici calcestruzzi utilizzati in edilizia. A maturazione avvenuta acquistano una notevole resistenza agli sforzi di compressione;
- leggeri: usano aggregati più leggeri nell’impasto. Pur mantenendo intatta la resistenza, pesano di meno e si prestano ai lavori di ristrutturazione;
- cellulari: sono costituiti da particolari aggregati che conferiscono al calcestruzzo maggiori leggerezza e facilità di lavorazione;
- alveolari: hanno una struttura con molti spazi vuoti riempiti d’aria. Sono pratici da usare, ma la resistenza è molto ridotta rispetto a un calcestruzzo normale. Come i calcestruzzi cellulari, sono impiegati per realizzare riempimenti, sottofondi e in ogni opera in cui sono richieste leggerezza e capacità di isolamento termico.
Il calcestruzzo armato
Una voce a sé merita il questo particolare tipo di materiale, che sfrutta la capacità di compressione del calcestruzzo e quella di trazione dell’acciaio.
La resistenza e la durabilità di un’opera, infatti, sono valutate sui livelli di compressione e trazione che la struttura sviluppa. Semplificando, la compressione è la capacità di sopportare carichi verticali scaricandoli sul terreno. La trazione, invece, riguarda la flessione che si determina in una struttura esposta a una sollecitazione.
Il calcestruzzo armato è così il materiale più sicuro, durevole e sostenibile a disposizione dell’uomo per realizzare ogni tipo di costruzione (ma questo Monier non poteva saperlo).