Il lockdown lascerà molti segni, alcune paure e qualche consapevolezza nuova. Un dato però è adesso certo: restare a casa non è stato per tutti uguale. Dimensioni, luce, spazi esterni sono state discriminanti importanti.
La pandemia, dunque, tra le altre cose ha messo in evidenza i limiti delle nostre abitazioni. Per questo cinque architetti, sulle pagine di Houzz, si sono divertiti a ipotizzare l’evoluzione delle case del post coronavirus.
Spazi multifunzionali trasformabili
Secondo gli architetti Gonzalo Pardo e Frédéric Ganichot, ad esempio le case avranno più spazi versatili e multifunzionali. Pensati in modo modulare per garantire, ad esempio, l’attività fisica anche a casa.
Stanze trasformabili che cambiano funzione in base all’ora del giorno: studio silenzioso per il lavoro da remoto la mattina, sala yoga la sera.
La riscoperta degli spazi esterni
Javier San Juan, fondatore di Lado Blanco Architects, invece non ha dubbi: “le terrazze e i tetti saranno progettati per creare continuità con le aree adiacenti, dando vita a zone giorno interne-esterne“. Insomma, sfrutteremo di più i tetti, le terrazze, cercando una maggiore connessione tra interno ed esterno.
I tetti, soprattutto nelle metropoli, potrebbero diventare una risorsa. Anche nell’ottica di virare sempre di più verso un’edilizia sostenibile.
L’architetto italiano Tommaso Giunchi a supporto della teoria racconta di avere amici e clienti che affermano che “non vivranno mai più in una casa priva di almeno un piccolo spazio all’aperto“.
Dello stesso parere l’architetto Moisés Royo, che pensa che si dovrebbe attribuire, escluso però dal prezzo dell’affitto, un minimo di spazio verde a disposizione di ogni condominio.
È vero che, già da tempo, le nuove costruzioni nelle grandi città tendono spesso a incorporare una terrazza condominiale. Tuttavia, Royo non solo è fermamente convinto dell’insufficienza di questi spazi, ma pone l’accento sul problema dei centri cittadini costruiti nel secolo scorso: “qui la larghezza delle strade e l’orientamento delle case rendono impossibile garantire le ore minime giornaliere di luce solare necessarie per ogni abitante”. Vi è un urgente bisogno di modificare la struttura di tali quartieri “per accogliere le zone esterne degli edifici senza aumentare la superficie costruita” spiega.
L’architettura contro la diffusione del virus
Le città sono spazi di contagio e la densità della popolazione è un grosso problema. Ma esistono soluzioni tecnologiche già applicabili. Sistemi di ventilazione meccanica che garantiscano un flusso d’aria costante 24 ore al giorno con livelli molto bassi di CO2, ad esempio. Capaci di eliminare anche le particelle nocive presenti nell’aria, nonché i virus trasmessi attraverso le goccioline d’acqua.
La nuova progettazione deve focalizzarsi su spazi facili da pulire, soluzioni tecnologiche e un’area dedicata a scarpe e cappotti provenienti dall’esterno. Ma soprattutto bisogna costruire case che ci facciano stare bene.
Sentirsi a proprio agio nella propria abitazione è indispensabile. Ogni spazio andrà progettato perché sia “emozionalmente” confortevole e non solo pratico. Perché è ormai un dato assodato che gli spazi che ci circondano, ci condizionano.
Il futuro dunque è un incrocio tra tecnologia, natura ed estetica. Siete d’accordo?
Credit Foto: Marzenna Gaines