Edilizia pubblica italiana: serve maggiore attenzione

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Un esempio di edilizia pubblica in Italia
Foto via Lo Spiffero

Fondi pubblici inadeguati, leggi assenti, burocrazia complessa. Il nostro patrimonio pubblico è spesso pericolante, obsoleto e non riesce a soddisfare del tutto la domanda interna

Il crollo nella Vela Celeste nel quartiere Scampia, a Napoli, ha puntato di nuovo i riflettori sulle condizioni del parco edilizio pubblico italiano. Quello che sembra essere stato etichettato come una specificità di Scampia, appare invece come un problema legato allo storico sotto-finanziamento dell’edilizia pubblica.

Attualmente le case popolari in Italia sono meno del 4% del totale delle residenze, un dato inferiore alla media europea, che si assesta intorno all’8%. Dagli anni Novanta, infatti, l’offerta è andata progressivamente diminuendo per via della vendita parziale e del deperimento dello stock. Quest’ultimo aspetto è stato aggravato proprio dalla carenza di finanziamenti per l’edilizia pubblica.

Negli anni, poi, la mancanza di fondi nel settore ha portato al deterioramento fisico del patrimonio pubblico. Gli immobili pericolanti e a rischio caduta si contano in ogni regione e, in più, come avvenuto anche a Scampia, chi vive nelle case popolari lamenta l’assenza delle operazioni di manutenzione ordinaria

Indice

Breve storia dell’edilizia pubblica italiana

L’espansione storica dell’edilizia pubblica ebbe inizio nel secondo dopoguerra, precisamente nel 1949. Amintore Fanfani, allora Presidente del Consiglio, fu il primo a proporre un piano per la produzione di case popolari. Il piano aveva una durata di 7 anni e fu rinnovato nel 1956 e poi, con cadenza decennale, anche nel 1963 e nel 1978.

Gli Istituti Autonomi Case Popolari (IACP) e i Comuni furono incaricati della produzione di abitazioni di edilizia pubblica in tutta Italia. Le risorse per la costruzione derivavano dal Fondo GesCaL, alimentato da contributi fissi dei lavoratori e delle parti datoriali, con aggiunte da parte dello Stato. 

Tuttavia, la fase espansiva dell’edilizia pubblica si arrestò già negli anni Ottanta, quando la produzione di case popolari si esaurì. Nel decennio successivo, il Fondo GesCal venne congelato. Contestualmente, con la Legge 560/1993, il governo di Carlo Azeglio Ciampi avviò la parziale dismissione del patrimonio, autorizzando l’alienazione quando e se funzionale allo sviluppo del settore. Nei fatti, questa mossa aprì alla vendita di decine di migliaia di alloggi.

Negli anni 2000, la responsabilità in materia è passata dallo Stato alle Regioni. Altre risorse (via via in calo) sono state destinate a programmi regionali per la ristrutturazione di edifici e quartieri di edilizia pubblica. L’efficacia di questi piani d’azione, però, è stata limitata.

A poco a poco, svariate porzioni di stock pubblico sono state vendute per esigenze di cassa. Degli immobili che rientrano ancora nel novero delle case popolari, diversi sono diventati inutilizzabili, anche se comunque abitati in modo abusivo.

L’esempio di Scampia

Scampia non è un caso raro nel nostro Paese, ma è certamente emblema delle difficoltà strutturali in Italia. Il crollo nella Vela Celeste è infatti una concatenazione di circostanze che interessano i fondi pubblici, le leggi nazionali, la burocrazia e i tagli dei finanziamenti ai Comuni. 

Già nel 1997 le Vele erano state dichiarate inabitabili ed erano stati stanziati i primi fondi per abbattere l’intero complesso. Le motivazioni erano: presenza di amianto, corrosione delle strutture in ferro, problemi ai ballatoi, infiltrazioni e problemi strutturali agli impianti idrici.

Furono demoliti tre edifici e vennero costruiti i primi alloggi sostitutivi. Poi i lavori rallentarono e nessun altro edificio venne abbattuto. I fondi che erano stati stanziati precedentemente, grazie anche alla presidenza della Repubblica, si esaurirono e non ci furono altri interventi.

Nel 2016 è stato lanciato il programma Re-Start Scampia per l’abbattimento di tutte le Vele tranne una, quella Celeste. Al posto di queste strutture avrebbero dovuto sorgere nuovi alloggi sostitutivi, esercizi commerciali e spazi di socialità. Il progetto conteneva tutte le criticità riscontrate nel 1997. Anche in questo caso, il piano finì in un nulla di fatto.

L’amministrazione attuale, guidata da Gaetano Manfredi, ha ripresentato Re-Start Scampia sui fondi del PNRR, ottenendo un nuovo finanziamento per andare avanti con la riqualificazione. Ciò che appare chiaro dalla vicenda, è che Scampia avrebbe avuto bisogno di una legge quadro capace di avviare un intervento di rigenerazione complessivo: cosa che finora, invece, è venuta a mancare.

La spinta della Direttiva Case Green

A livello nazionale, la questione sullo status dell’edilizia pubblica si lega anche al tema del riqualificazione introdotto dalla Direttiva Case Green. La normativa interessa il parco edilizio italiano nella sua interezza. Come ha ricordato Ermete Realacci, presidente della Fondazione Symbola, l’edilizia può dare un contributo importante per contrastare la crisi climatica e ridurre la nostra dipendenza dei combustibili fossili.

Secondo i dati Istat di marzo 2024, il 72% degli edifici in Italia ha più di 43 anni ed è stato realizzato prima della legge sull’efficienza energetica. Inoltre, il 68,5% dell’intero stock residenziale ha una classe energetica compresa tra la E e la G.

Aumentando di sole 2 classi energetiche il patrimonio edilizio residenziale, sarebbe possibile ridurre del 40%, in media, la bolletta di una famiglia. Tradotto, si parla di risparmi annuali di circa 1.067 euro rispetto ai costi al 2022.

Ciò comporterebbe anche un aumento del valore degli immobili. Una casa ristrutturata, infatti, vale mediamente il 44,3% in più di un’abitazione da ristrutturare. L’incremento arriva al 50,8% fuori dalle aree metropolitane in luoghi non turistici; nelle periferie, nelle corone delle aree metropolitane le case ristrutturate valgono il 40,5% in più di quelle non ristrutturate.

Fonti:

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