Una casa per tutti
È urgente la realizzazione di un piano di investimenti per garantire alloggi sociali a chi ne ha bisogno. È questa la posizione dell’Istituto nazionale di Urbanistica (In/Arch) che guarda con forte preoccupazione all’impatto sociale che avrà la pandemia. Disoccupazione crescente e perdita di reddito, infatti, si rifletteranno pesantemente sulla condizione abitativa delle fasce deboli della popolazione, accelerando le differenze sociali.
“Già oggi, in Italia, 2.100.000 famiglie avrebbero diritto, secondo le normative vigenti, ad un alloggio di Edilizia Residenziale Pubblica, ma solo 700.000 famiglie oggi vedono riconosciuto tale diritto – è quanto denuncia Inarch – Dalla fine degli anni ‘80 in poi l’offerta pubblica di case economiche si è ridotta del 90%. In Europa il 30% delle famiglie gode di un alloggio sociale, in Italia solo il 3,5 %”.
Il piano proposto da In/Arch
La proposta dell’Istituto è quella di avviare urgentemente un nuovo piano di investimenti per garantire alloggi sociali a tutti. Nel 1949, in occasione del Piano Fanfani intitolato “Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”, le migliori menti dell’Architettura Italiana seppero offrire un contributo reale a un Paese in ginocchio dopo il disastro della guerra: si impegnarono in prima persona per offrire risposte al bisogno di case per i più poveri a basso costo.
In una situazione completamente mutata e con strategie diverse, l’In/Arch vuole promuovere una nuova riflessione su questi temi per sperimentare, innovare e offrire soluzioni ai più deboli, restituendo così un ruolo sociale all’Architettura.
“L’impegno per il diritto alla casa delle fasce deboli della popolazione è componete essenziale di un nuovo welfare – si legge in una nota dell’Istituto – in grado di diminuire precarietà e povertà. Per questo crediamo che nella fase di rinascita del Paese – oltre ai necessari investimenti per infrastrutture, manutenzione del territorio, edilizia sanitaria e scolastica – occorrano risorse pubbliche mirate a garantire alloggi a canone sociale. Un impegno per la casa sociale che sappia anche offrire risposte ai problemi dell’accoglienza e dell’integrazione di nuovi lavoratori immigrati, spesso vittime di un disagio abitativo tra i più estremi. Un impegno che sappia infine stimolare un forte rinnovamento nei metodi e nei rapporti di produzione nel settore edilizio e un’intensa partecipazione di coloro che saranno destinati ad abitare le case che verranno predisposte”.
Un piano che non può consistere nella creazione di nuovi quartieri, nuove periferie, nuovo consumo di suolo, quanto piuttosto essere un volano per le politiche di rigenerazione urbana, riuso e riqualificazione dell’ingente patrimonio immobiliare pubblico e privato dismesso. Naturalmente tenendo conto dei criteri di sostenibilità ambientale e sociale e di efficienza energetica, nonché di digitalizzazione delle aree interne del Paese e di borghi disabitati.
Come realizzarlo?
Una proposta concreta che arriva da Inarch è di partire dalla rigenerazione degli oltre 55.000 alloggi di edilizia residenziale pubblica attualmente vuoti (di questi uno su cinque è considerato inagibile) e dal riuso di parte del patrimonio demaniale civile e militare dismesso, a partire dalle tante caserme abbandonate da riconvertire in alloggi.
Il piano potrebbe essere l’occasione per tornare a riflettere sulla casa sociale, sulle nuove soluzioni tipologiche e distributive, sulla casa a basso costo, sulle tecnologie innovative, sul rapporto tra casa e città, su nuovi modelli sostenibili per l’industria delle costruzioni. Un impegno che la pandemia e il relativo lockdown che abbiamo vissuto ha reso quanto mai urgente, avendoci messo di fronte alla inevitabile constatazione dell’inadeguatezza di molte abitazioni e ai nuovi bisogni legati allo smart working.
Foto credit: In/Arch