Avremmo fatto bene a continuare a costruire con l’impasto cementizio utilizzato ai tempi dell’Impero romano? Forse sì. Eccetto terremoti o catastrofi, gli edifici costruiti nell’antica Roma non crollano dopo oltre duemila anni. E questo perché il cemento impiegato era più resistente e più sostenibile per l’ambiente.
A dimostrarlo più di una ricerca. Una equipe internazionale ha studiato la resistenza all’erosione e all’acqua del cemento romano con cui sono stati costruiti i porti. Oggetto dell’analisi, che si è realizzata tra l’Europa e gli Usa, un campione del porto romano della baia di Pozzuoli, a Napoli. L’utilizzo della roccia vulcanica e della calce a contatto con l’acqua sembra essere il segreto della solidità del cemento. “Rispetto a quello romano, il cemento di Portland, quello che usiamo comunemente da 200 anni, in queste condizioni non durerebbe più di mezzo secolo prima di iniziare a erodersi” è quanto sostiene l’ingegnere Marie Jackson dell’Università della California a Berkley.
Un altro studio portato avanti da un gruppo di ricercatori dell’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e dall’IGAG-CNR, in collaborazione con gli archeologi della Sovraintendenza ai Beni Culturali di Roma, rivela la profonda conoscenza dei costruttori romani delle proprietà fisiche dei prodotti vulcanici impiegati per la realizzazione del calcestruzzo, ragione per cui importavano dalla Campania particolari lave e pomici.
La sfida lanciata dalle ricerche è quella di tornare a impiegare oggi le tecniche di costruzione del passato. Una sfida che potrebbe portare ad un materiale più solido ed ecologico da produrre, in un continuo dialogo tra modernità, con le soluzioni sostenibili per l’ambiente cui oggi si ha accesso, e il passato.
Foto credit: Andrea Pacelli