In questi giorni di dolore e di emergenza a livello ormai mondiale, l’Italia perde un grande architetto: è morto a Milano a 92 anni, in seguito alle complicazioni portate dal Coronavirus, Vittorio Gregotti.
Urbanista di fama internazionale, Gregotti è stato uno dei padri della moderna architettura italiana. Ma non solo: “saggista, critico, docente, editorialista, polemista, uomo delle istituzioni, che – restando sempre e prima di tutto un architetto – ha fatto la storia della nostra cultura. Concependo l’architettura come una prospettiva: sull’intero mondo e sull’intera vita.” Con queste parole lo ricorda Stefano Boeri su Facebook.
La vita di Vittorio Gregotti
Nato a Novara nel 1927, Gregotti si era laureato nel 1952 al Politecnico di Milano; nel 1964 è stato responsabile della sezione introduttiva per la Triennale di Milano e dal 1974 al 1976 è stato direttore delle arti visive e architettura della Biennale di Venezia. Unico architetto a far parte del Gruppo 63, aveva invitato a collaborare a un progetto della Triennale amici intellettuali come Umberto Eco, Luciano Berio o Furio Colombo.
Professore ordinario di Composizione architettonica all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, ha insegnato anche nelle facoltà di Architettura di Milano e Palermo e poi all’estero. Come visiting professor, ha lavorato in Giappone, Stati Uniti, Argentina, Brasile e Regno Unito. Nel 1953 entra alla storica rivista mensile di architettura, urbanistica e design Casabella: dapprima come redattore, quindi come caporedattore, infine come direttore.
L’opera di Vittorio Gregotti
Tra i suoi oltre mille e cinquecento progetti, realizzati in Italia e molti anche all’estero, ricordiamo il contestato quartiere Zen (Zona espansione nord) realizzato a Palermo tra la fine degli anni Sessanta e i primi Settanta; il Centro Culturale di Belém a Lisbona; il dipartimento di scienze dell’università di Palermo (dove insegnava) e la sede dell’università della Calabria; il piano di edilizia popolare a Cefalù e il Centro ricerche dell’Enea a Portici. E poi gli insediamenti sempre popolari a Venezia, la sistemazione del Parco archeologico dei Fori imperiali a Roma. Ma anche la trasformazione delle aree intorno alla Bicocca, alla periferia di Milano, sino al nuovo quartiere residenziale nell’area di Pujiang, in Cina.
“Un buon progetto che non è stato realizzato come avrebbe dovuto”: con queste parole, raccolte nel corso dell’intervista concessa al Corriere in occasione dei suoi 90 anni e pubblicate in queste ore da artribune.com, Gregotti commentava con lucida amarezza uno degli episodi chiave della sua carriera architettonica: il controverso quartiere ZEN di Palermo.
“È la mia battaglia persa contro la società locale così com’era“, aveva confessato alle telecamere di Fanpage.it. L’esperienza della Zona Espansione Nord, promossa sul finire degli anni Sessanta, portò alla nascita di un quartiere di edilizia popolare, concepito sul modello della megastruttura. Il progetto con cui Gregotti si aggiudicò il concorso bandito dallo IACP palermitano venne progressivamente stravolto, finendo per privare l’impianto dei servizi e delle infrastrutture, primarie e secondarie, previste. Il risultato è tristemente noto: con il passare del tempo, ZEN è diventato sinonimo di marginalità e segregazione, un simbolo dell’emergenza abitativa dell’intero Mezzogiorno; la sua sorte ha alimentato il confronto tra architetti, politici e società civile, stimolando in parallelo azioni e interventi di diversa natura, intrapresi anche da associazioni locali.