Pruitt-Igoe: come è morto il sogno urbano americano

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“The Pruitt-Igoe Myth”, il documentario firmato Chad Friedrich e girato nel 2011, da rivedere per comprendere meglio il movimento #blacklivesmatter

Pruitt-Igoe, è un grande progetto urbanistico del secondo dopoguerra, emblema dello sviluppo edilizio americano, che venne infine ridotto in macerie all’inizio degli anni ’70.

La sua demolizione iniziò il 15 luglio 1972, giorno in cui, secondo il paesaggista, teorico e storico dell’architettura Charles Jencks, “l’architettura moderna è morta”.

La verità, invece, la racconta Chad Friedrich in un documentario girato nel 2011 e presentato al Milano Design Film Festival 2019. Poco più di un’ora per raccontare i retroscena di un progetto, che seppur nato con le migliori intenzioni, si è trasformato di fatto in un ghetto.

Una storia di architettura, ma anche di politica che ha davvero ancora molto da insegnare.
Soprattutto alla luce di ciò che sta accadendo negli USA negli ultimi anni e con una forza maggiore dal 25 maggio 2020, data della morte di George Flyod. Uno degli ultimi drammatici episodi che hanno come protagonisti innocenti vittime afroamericane.

Carlotta Marelli sulle pagine di Elle Decor ne ha ripercorso le tappe fondamentali, che riprendiamo anche noi per grandi linee.

Pruitt-igoe, il simbolo del fallimento americano

Siamo sempre a St. Louis, nel Missouri. Sono i primi anni ’50. La città è impoverita dalla guerra e decisamente sovrappopolata.

In quest’area degli Stati Uniti, “dove il sistema meridionale della schiavitù incontra la spinta per l’espansione occidentale“, il razzismo è così saldamente stratificato nel profondo del tessuto cittadino da nascondersi come fosse normalità.

Così, nell’ottica di politiche di rinnovamento urbano, non sembrò strano a nessuno che i servizi venissero determinati in base all’appartenenza ad un quartiere o a una comunità e che già il progetto iniziale prevedesse una separazione delle aree: Pruitt, infatti, era pensato per i neri, Igoe per i bianchi.

Una volta completate le strutture, però, la presenza in città di sobborghi residenziali ad uso esclusivamente bianco, rese la la carenza di alloggi meno pressante e tutti i grattacieli vennero aperti alle persone di colore.

Già l’inizio era una fine

Ma nessun progetto, per quanto alla moda, ha successo solo esistendo. E così, per mancanza di fondi, per cattiva manutenzione e per le assurde regole del Welfare, anche Pruitt-Igoe cominciò il suo rapido declino.

“Si stima che 12 mila persone, tutte di colore, vivessero in questi grattacieli, contando gli inquilini e tutti coloro che vi rimasero illegalmente. La maggior parte degli inquilini erano e sono donne e bambini. Non c’era alcun senso di comunità. Le autorità non potevano assegnare abbastanza guardie per fornire sicurezza. Ladri, spacciatori e bande di strada vagavano attraverso gli edifici. L’anarchia ha prevalso. Le finestre venivano rotte più velocemente di quanto potessero essere sostituite”.

Abbandonato a sé stesso, in poco tempo Pruitt-Igoe divenne il luogo ideale per i criminali e si ridusse ad architettura alla deriva, fatta di tubi rotti e finestre infrante, ascensori bloccati e luoghi comuni incendiati.

Gli spazi verdi, secondo la ricostruzione di Oscar Newman nel libro “Defensible Space: Crime Prevention Through Urban Design” riportata da Millennio Urbano, divennero “no-man’s land, spazi indifendibili, segnati dal degrado e il crimine“.

Le autorità pubbliche e i sociologi, ma anche alcuni architetti, hanno sempre dato la colpa di questa situazione ai residenti. Dal documentario di Friedrich, però, emerge un’altra verità: l’architettura per un verso e i residenti per l’altro sono stati più vittime che causa di tutto questo.

Credit Foto: State Historical Society of Missouri

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