L’accurata analisi di Daniela Freddi, pubblicata su Rassegna.it, fa davvero riflettere sulla situazione attuale del settore delle costruzioni. Si può parlare di ripresa?
Nel corso dello scorso anno in Italia l’edilizia ricopriva il 6,1% dell’occupazione e produceva circa il 4,5% del valore aggiunto del Paese. Un significativo ridimensionamento soprattutto in relazione ai dati di dieci anni prima.
Nel 2007 infatti l’Italia “aveva registrato il più alto livello di valore aggiunto degli ultimi 15 anni, con oltre 94 miliardi di euro”. Nel 2016 non si superavano invece i 63 miliardi di euro, mentre nel 2017 si sono toccati appena i 64 miliardi di euro.
Ugualmente nel settore costruzioni l’occupazione totale, che nel 2008 contava quasi due milioni di addetti, ha visto una riduzione drastica. Nel 2016 infatti gli occupati erano pari a 1,6 milioni, mentre nel 2017 si è registrata una riduzione a 1,4 milioni.
È chiaro che questi effetti così negativi non possono che essere attribuiti alla crisi economica. La domanda delle costruzioni residenziali è crollata per l’effetto della contrazione dei redditi e delle restrizioni del credito. Mentre le costruzioni non residenziali non sono state sempre in grado di fronteggiare il ciclo economico sfavorevole e il razionamento del credito nell’ambito privato. Per questo è stata attuata una politica di austerity sul fronte dell’edilizia e delle opere pubbliche.
Dal 2015 l’economia italiana ha sperimentato “un graduale miglioramento con un allentamento della spinta recessiva e con essa anche il settore dell’edilizia, in particolare nel corso del 2017”.
Questo minimo miglioramento è stato generato dai segnali positivi sul mercato immobiliare, nei mutui erogati alle famiglie per l’acquisto dell’abitazione e nei bandi di gara per lavori pubblici.
La tendenza fortemente negativa è però ancora molto presente nel settore. “L’indice della produzione a livello nazionale, dopo quattro anni di forte contrazione, si è finalmente stabilizzato tra il 2015 e il 2017 ma non ha ancora mostrato segni di ripresa”.
Inoltre ci sono ancora differenze rilevanti tra i diversi comparti, in particolare guardando alle nuove superfici in via di costruzione distinte tra edilizia residenziale e non.
L’anello debole continua ad essere l’edilizia residenziale, mentre le costruzioni pubbliche tra il 2013 e il 2014 hanno visto un leggero aumento per poi registrare un’inversione di tendenza a partire dal 2015.
“Tra il 2005 e il 2015 le superfici nuove non residenziali sono passate dai quasi 7 milioni di metri quadri a circa 2 milioni, mentre quelle residenziali dai 5 milioni a meno di un milione”.
Insomma, come fa ben notare Daniela Freddi, “la moderata ripresa che il settore delle costruzioni sta sperimentando non è certamente trainata dall’edilizia residenziale, che rimane ferma al milione di metri quadri, mentre quella non residenziale prosegue la tendenza alla crescita iniziata nel 2015″.
Si registrano infatti due dinamiche: da un lato, negli ultimi tre anni gli investimenti nel settore sono calati, ma con un’intensità sempre più bassa e nel 2017 hanno addirittura fatto registrare un lieve incremento. Dall’altro, i dati confermano che l’edilizia non residenziale è in ripresa, nonostante perduri la crisi di quella residenziale, con una piccola notazione da fare su quest’ultima. Non si costruiscono case nuove ma si è comunque registrato un aumento degli interventi di manutenzione straordinaria.
Gli investimenti in manutenzione straordinaria sono stati nel 2017 più alti di circa il 40% rispetto al 2000, mentre quelli in nuove edificazioni sono più bassi del 70% nel 2017 rispetto al picco del 2007.
Che sia la ristrutturazione la chiave per uscire dalla crisi?