Combattere il razzismo attraverso l’architettura è possibile?
#BlackLiveMatters: l’enorme scritta gialla apparsa sulla sedicesima strada della città di Washington è solo una delle ultime manifestazioni di protesta nei confronti della presidenza Trump. Un gesto approvato anche dalla sindaca della città, Muriel Bowser (che ha ribattezzato il tratto di strada Black Lives Matter Plaza), specchio delle agitazioni nate dopo la morte di George Floyd per mano di quattro agenti della polizia.
Il problema della discriminazione razziale, senza scendere troppo nel dettaglio storiografico, ha avuto, senza ombra di dubbio, un impatto anche nella struttura architettonica delle città. Basti pensare, per esempio, a Pruitt-Igoe, il progetto urbanistico del secondo dopoguerra di cui abbiamo parlato anche sul nostro blog.
Urbanismo tattico, cos’è?
La scritta gialla di Washington rientra dunque in quello che viene definito urbanismo tattico. L’idea, cioè, che con pochi mezzi e strumenti sia possibile cambiare la struttura o la destinazione di piazze, strade ed edifici. Un movimento nato negli ultimi decenni come risposta alla condizione dicotomica di molte città.
Nel Novecento, infatti, la pianificazione territoriale delle città (un po’ in tutto il mondo) è intervenuta arbitrariamente per modificare porzioni di città e spazi pubblici senza alcun tipo di consultazione cittadina. Ogni progetto, dunque, ha sempre avuto come unica controparte l’architetto-urbanista e il committente dell’opera. Pubblico o privato che fosse.
Facile comprendere come questo approccio abbia decretato nel tempo uno scollamento tra gli interlocutori: i cittadini da un lato e politici e progettisti dall’altro.
L’urbanismo tattico vuole sanare questa dicotomia, creando vere e proprie occasioni di confronto. In tal senso, non ci sono limiti d’azione. Sono accettate sia “azioni dal basso” non regolamentate che “azioni dall’alto” che coinvolgano pubbliche amministrazioni, tecnici e associazioni.
In questo modo l’urbanismo tattico si pone l’obiettivo di apportare modifiche temporanee dello spazio pubblico che abbiano sia un carattere sperimentale che un alto valore comunicativo.
Ma è possibile intervenire sulla società attraverso l’urbanismo tattico?
Sull’efficacia di questa forma di intervento molti si sono interrogati. Compreso il giornalista Rosario Spagnolello che sull’argomento ha scritto un interessante articolo per Elle Decor, che prende in esame diverse forme di applicazione “tattica”.
Spagnolello attraverso l’analisi di alcuni esempi pratici arriva alla conclusione, per altro condivisibile, che sia azzardato parlare di architetture antirazziste e ancor più utopistico affermare che un singolo edificio possa risolvere questioni annose e strutturate così profondamente come quelle della società occidentale.
Esistono però progetti di architettura consapevoli. Capaci, cioè, di cogliere gli squilibri presenti nella società e di trasformare lucidamente lo spazio, assumendo la realtà sociale come punto di partenza della progettazione. E noi ci auguriamo che sempre più spesso l’architettura si muova in questa direzione.
Credit Foto: Tasos Katopodis – Getty Images