5 incredibili architetture dimenticate che forse non conoscevi

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Veduta del cimitero di Parabita a Lecce
Credit foto: ArchiDiAP

Nato come gruppo Facebook, Forgotten Architecture diventa un libro. Una raccolta di progetti minori ormai dimenticati, commentati dalla curatrice del volume Bianca Felicori

28 Maggio 2019, da un’idea di Bianca Felicori nasce “Forgotten Architecture”: gruppo Facebook che raccoglie i progetti architettonici minori o dimenticati di architetti famosi e non. Un autentico fenomeno web che in brevissimo tempo ha dato vita a una vera e propria community di professionisti di settore.

Un’esperienza collettiva trasformatasi in libro, i cui contenuti ripercorrono le categorie architettoniche più pubblicate sul gruppo, ovvero: architetture effimere, stazioni di servizio, discoteche e villaggi vacanza, case e playgrounds.

A seguire cinque architetture dimenticate, commentate (in calce) da Bianca Felicori stessa.

1. Architettura effimera

Architetture effimere: il Padiglione Gruppo Fuji di Yutaka Murata
Padiglione Gruppo Fuji – Osaka, 1970 – Yutaka Murata • Credit foto: Dream Idea Machine

“Progresso e armonia per l’umanità”, era questa la tematica di quella che fu l’esposizione universale di Osaka, andata in scena nel 1970. La prima a essere ospitata in Asia. Un’esibizione lunga 6 mesi, con 76 paesi partecipanti e un’affluenza di oltre 64 milioni di visitatori. L’evento che segnò la storia dell’applicazione dello pneumatico in architettura, quando ancora questo materiale non era considerato nemico dell’ambiente.

Sì, perché se da un lato lo scopo dell’esposizione era quello di mostrare l’impatto negativo dell’industrializzazione basata sull’ideologia di sviluppo civile e tecnologico, dall’altro, il suo obiettivo era quello di illustrare gli utilizzi virtuosi di tecniche e materiali moderni con cui garantire l’armonia tra i popoli, e tra l’uomo e l’ambiente.

Un’esposizione passata alla storia grazie anche al padiglione progettato da Yutaka Murata per il Gruppo Fuji. Una sorta di enorme bozzolo di 35 metri per 45, con una base circolare dal diametro di 60 metri, al cui interno era presente un tapis roulant circolare che permetteva agli spettatori di compiere due volte il giro della sala.

“I progetti effimeri, ovvero i progetti il cui ciclo di vita è molto breve, sono la tipologia architettonica che viene dimenticata con maggiore facilità . In particolare i progetti realizzati per le grandi Expo, seppur di grandissima qualità, nel corso del Novecento hanno avuto un successo temporale per poi rimanere vittime dell’oblio della memoria.”

2. Architettura cimiteriale

Architetture cimiteriali: il Cimitero Comunale di Parabita di Alessandro Anselmi e Paola Chiatante
Cimitero Comunale di Parabita – Lecce, 1967/1982 – Alessandro Anselmi e Paola Chiatante • Credit foto: ArchiDiAP

Iniziato nel 1967, ma ultimato soltanto nel 1982, il Cimitero Comunale di Parabita, in Salento, rappresenta uno dei momenti più alti sia nella carriera di Alessandro Anselmi e Paola Chiatante, che dell’intero movimento postmodernista italiano.

Concepito come un insieme di edifici messi in relazione tra loro dal disegno planimetrico di un capitello corinzio, tentativo progettuale di legare idealmente alla necropoli la spazialità del tempio classico, Il cimitero “rappresenta una delle prime architetture dove riaffiora la memoria della storia dopo l’oblio modernista. [… ] Un “luogo”, sia fisico che simbolico, che torna a essere determinante degli esiti morfologici. [… ] Un’“architettura non finita”, come insieme di frammenti in eterna attesa di un nuovo inizio”.

“La stessa sorte tocca all’architettura cimiteriale, in particolare agli ampliamenti del cimiteri realizzati nel corso del Novecento, ma per altri motivi. In particolare questa categoria architettonica è vittima di un retaggio del passato che riduce la morte a tabù, motivo per il quale inserire in un discorso architettonico i cimiteri risulta ancora oggi abbastanza difficile.”

3. Architettura animale

Architetture animali: l'Edificio polivalente di Gunther Domenig
Edificio polivalente – Graz, 1974-77 – Gunther Domenig • Credit foto: Domus

Nato a Klagenfurt nel 1934, la carriera di Gunther Domenig inizia negli anni ’60 sotto l’influenza architettonica della corrente Brutalista. Tra i primi in Austria a introdurre uno stile zoomorfo espressionista, Domenig è stato anche tra i fondatori della Scuola di Graz: gruppo di studiosi, filosofi e psicologi, che a cavallo tra il XIX e il XX secolo si occupò di psicologia sperimentale e teoria degli oggetti.

Le sue opere, in aperta contrapposizione ai canoni tradizionali dell’architettura moderna, non rappresentano soltanto la ricerca di un nuovo stile architettonico, spesso definito manierismo organico, ma anche una ricerca introspettiva che affonda le radici nella sua sfera privata. Tra le sue opere principali anche la Multi-purpose school hall di Graz, edificio polivalente progettato per una scuola di suore, dove al suo interno erano presenti mensa, teatro e sala conferenze. Un’opera dalla forma “organica” alla cui esecuzione Domenig lasciò partecipare creativamente anche gli operai.

“Le forme organiche e biomimetiche come quelle disegnate da Domenig erano, negli anni Settanta, una risposta rivoluzionaria alla rigidità del Movimento Moderno, non sempre apprezzate dalla critica e dalla storia dell’architettura.”

4. Tempo libero

Architetture per il tempo libero: la discoteca Barbarella di Studio Sessanta5
Barbarella – Torino, 1972 – Studio 65 • Credit foto: Studio Sessanta5

Ispirato dall’omonimo film degli anni ’70 con Jane Fonda, il Barbarella fu una delle prime discoteche progettate da Gianni Arnaudo dello Studio 65.

Radicale e dallo spirito decostruttivista, il Barbarella si presentava come “un’astronave […] il cui ingresso fungeva da varco per una dimensione extraterrestre che si sviluppa nel sottosuolo. Lo spazio interno era quadrato e gradonato a mo’ di anfiteatro […] presentando l’innovativa concezione della cabina del DJ e del bar come due sfere sospese sul dancefloor.”

Un’opera che già guardava al futuro, recuperando e riciclando elementi estetici e riferimenti simbolici smessi e già adoperati.

“Club, villaggi turistici, navi da crociera, dopo la Seconda Guerra Mondiale con il boom economico in Europa e in America nasce una nuova architettura dedicata al tempo libero e al benessere dell’uomo. Negli anni Settanta i principi di tale architettura vengono portati agli estremi grazie anche ad un processo di revisione dei principi architettonici, che portano alla nascita di una nuova architettura chiamata poi fantastica, radicale e visionaria, di cui si tende a parlare ancora in maniera troppo poco approfondita.”

5. Architettura residenziale

Architetture residenziali: la Casa a Lissone di Salvati e Tresoldi
Casa a Lissone – Lissone, 1978 – Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi • Credit foto: Domus

Partendo dai principi del movimento razionalista e illuminati dall’assunto di Le Corbusier “La casa è una macchina per abitare”, Alberto Salvati e Ambrogio Tresoldi iniziano a ragionare su un nuovo concetto di architettura. Un’idea in cui gli spazi interni non assolvono più a una funzione “protettiva”, ma di libertà fisica e spirituale.

Un ripensamento del concetto di cellula abitativa, in cui ad avere importanza adesso sono l’integrazione tra ambiente e mobilia, e la presenza del colore in quanto elemento architettonico che modifica e definisce lo spazio.

Ne è un esempio la Casa a Lissone, in cui l’ingresso rompe la simmetria dell’edificio attraverso l’uso del colore e delle forme.

“Gli anni Sessanta e Settanta sono anche gli anni in cui gli architetti rivedono i principi del movimento moderno verso una nuova concezione dello spazio dell’abitare. Salvati e Tresoldi hanno iniziato a pensare ad una nuova concezione dell’architettura, che supera i limiti funzionalisti del razionalismo verso l’inclusione dell’immaterialità degli aspetti spirituali nella progettazione architettonica. Gli spazi interni che disegnavano erano spazi di libertà, non spazi rifugio, né macchine, né antri, ma palcoscenici aperti allo spettacolo del vivere quotidiano.”

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