Il terremoto del Val di Noto del 1693 e la ricostruzione post-sisma nella Sicilia orientale 

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Credit foto: Smart Education Unesco Sicilia

Il terremoto del Val di Noto del 9 e dell’11 gennaio 1693 è un evento che viene ricordato per due ordini di motivi molto diversi. Per essere il più forte evento sismico avvenuto in Italia negli ultimi 1000 anni e per la fase di ricostruzione che ne conseguì che, oltre a modificare l’aspetto di un’ampia fetta della Sicilia, costituisce uno dei primi esempi di ricostruzione in ottica anti sismica.

Il terremoto del Val di Noto: la ricostruzione degli eventi

Sono passati 330 anni dal terremoto del Val di Noto, tra gli eventi catastrofici più drammatici di sempre per la Sicilia, nonché il terremoto più forte (con una magnitudo di 7,4) registrato nell’intero territorio italiano. Le scosse del 9 e dell’11 gennaio del 1693 devastarono il versante orientale della regione, causando la morte di decine di migliaia di persone.

9 gennaio 1693: la prima scossa

La prima forte scossa della sequenza sismica arrivò improvvisamente il 9 gennaio 1693 intorno alle ore 21:00 GMT (il tempo medio di Greenwich, orario riportato per convenzione nei cataloghi sismici), le 4:30 secondo l’uso orario “all’italiana” in vigore all’epoca. La scossa, con epicentro tra Melilli e Sortino, fu avvertita sensibilmente fino a Palermo e raggiunse un’intensità epicentrale tra i gradi 8 e 9 della Scala Mercalli

I danni furono gravissimi, in moltissimi centri: Augusta, Avola (l’attuale Avola Vecchia), Noto (l’attuale Noto Antica), Floridia, Melilli, Lentini. A Catania, già provata dall’eruzione dell’Etna del 1669, crollarono o vennero danneggiati molti palazzi e abitazioni, oltre che chiese e monumenti. Anche a Siracusa molti edifici furono lesionati e alcuni rimasero pericolanti.

Dato che il giorno seguente passò senza forti scosse, la gente si illuse che il peggio fosse passato. 

11 gennaio 1693: la seconda scossa

Il secondo terremoto – preceduto circa 4 ore prima da un’altra scossa – avvenne l’11 gennaio 1693 alle ore 13:30 GMT (circa le 21 secondo l’orario “all’italiana” in vigore all’epoca). Tutta la Sicilia orientale fu gravemente colpita. Per avere un’idea della portata del terremoto, basti pensare che danni diffusi e rilevanti furono riscontrati persino a Reggio Calabria, Agrigento e Palermo.

Complessivamente si verificarono scosse corrispondenti al grado 9 della scala Mercalli in circa settanta località. A subire le conseguenze più gravi furono i territori corrispondenti alle attuali province di Catania, Siracusa e Ragusa. Catania, Acireale e i piccoli centri del versante sud-orientale dell’Etna furono quasi interamente distrutti. Sorte ancora peggiore toccò ai centri del Val di Noto, che furono praticamente rasi al suolo: Sortino, Ragusa, Modica, Avola, Noto, solo per citarne alcuni. 

La mappa della Sicilia con l’intensità del terremoto del 1693 – Credit: Ecostiera.it

Gli effetti sul territorio

Il terremoto ebbe un forte impatto anche sull’ambiente naturale. In molte zone si aprirono fenditure nel terreno dalle quali furono segnalate fuoriuscite di gas, di acque calde o di materiali fluidi. Nel territorio ibleo ci furono frane e smottamenti, che in alcuni casi sbarrarono e ostruirono corsi d’acqua. Tutto il periodo sismico fu, inoltre, accompagnato da un’intensa attività dell’Etna.

Gli effetti più rilevanti furono quelli del maremoto. La scossa dell’11 gennaio generò ondate di tsunami che investirono diverse località della costa orientale della Sicilia, da Messina a Siracusa. Ad Augusta, l’onda di maremoto raggiunse l’altezza di 30 cubiti (circa 15 metri), inondando la parte della città che si affacciava sul porto. A Catania, il mare si ritirò dalla spiaggia per alcune decine di metri, per poi riversarsi violentemente sulla costa con onde alte oltre 2 metri che entrarono in città fino alla piazza San Filippo (l’attuale piazza Mazzini).

Il periodo sismico fu molto lungo e intenso: scosse minori furono avvertite per oltre 2 anni.

I danni per il patrimonio artistico e culturale della parte orientale dell’isola furono, com’è facile immaginare, inestimabili.

Le vittime del terremoto del 1693

Le conseguenze sulla popolazione furono drammatiche: interi centri furono praticamente decimati.
La statistica ufficiale, redatta nel maggio 1693, riporta circa 54.000 morti, di cui:

  • circa 12.000 a Catania (il 63% dei circa 19.000 abitanti di allora); 
  • 5.045 (il 51%) a Ragusa; 
  • 1.840 (il 30% della popolazione) ad Augusta; 
  • 3.000 (il 25%) a Noto;
  • 3.500 (il 23% del totale) a Siracusa.

La ricostruzione post-sisma

La risposta a un evento così drammatico come il terremoto del 1693 fu sorprendente. La reazione della popolazione e della classe dirigente, che si attivò immediatamente dopo l’emergenza, fece da volano per la ripresa economica dell’isola, spinta da un’intensa attività edilizia. 

Il Vicerè Giovan Francesco Paceco affidò l’incarico della ricostruzione a Giuseppe Lanza, duca di Camastra, che coordinerà tutte le operazioni sul territorio e si interesserà direttamente di alcuni casi, come quelli di Catania e Noto. I progetti di ricostruzione furono imponenti e altamente partecipati: vi contribuirono architetti, ingegneri, artigiani e maestranze, cittadini di diverse classi sociali, la classe dirigente spagnola e la chiesa.  

I primi cantieri vennero aperti appena quattro mesi dopo i terremoti di gennaio e si stima ne vennero aperti almeno mille in tutti i territori colpiti. Ovunque, venne colta la potenzialità della pietra bianca degli Iblei e di quella nera dell’Etna.

L’occasione è unica: in seguito al sisma, è possibile non solo ricostruire, ma anche riconfigurare e persino rifondare alcuni centri in un sito diverso da quello originario (è il caso di Noto, Avola, Grammichele, Giarratana, Sortino,  Monterosso, Belpasso) o nelle vallate sottostanti (come Scicli, Buscemi e Ferla). 

Come spiega Lucia Trigilia, docente di Storia dell’architettura all’Università di Catania e autrice di diverse pubblicazioni sul Val di Noto, i protagonisti della ricostruzione riuscirono ≪nell’immane impresa di tramutare la sciagura in occasione»
Dalle macerie del terremoto del 1693 prese così vita l’attuale volto barocco di molti centri della Sicilia orientale.

Catania: una nuova visione urbanistica

A Catania, la ricostruzione fu guidata da Giuseppe Lanza, Duca di Camastra. La città fu completamente riprogettata, con strade larghe e diritte, piazze, palazzi e chiese costruiti con la pietra nera dell’Etna e il calcare chiaro.

L’architetto Giovan Battista Vaccarini giocò un ruolo fondamentale nella definizione del carattere barocco di Catania. Le sue scelte architettoniche contribuirono a conferire all’urbanizzazione post-sismica una notevole valenza scenografica. I suoi impianti e le sue facciate sono concepite come “quinte” rispetto alla strada o alla piazza su cui si affacciano e sono caratterizzati dall’uso dell’ordine gigante e dalla combinazione di materiali diversi: pietra calcarea e pietra lavica, o marmo, come nel caso della Cattedrale.

Noto: una perfetta città barocca

A Noto, la ricostruzione post-sisma fu affrontata con una visione altrettanto ambiziosa. Il Duca di Camastra, Giuseppe Lanza, decise di ricostruire la città otto chilometri più a valle, sul declivio del monte Meti. La ricostruzione coinvolse diverse personalità, tra cui l’ingegnere militare olandese Carlos de Grunenbergh, il matematico netino Giovanni Battista Landolina, il gesuita fra Angelo Italia, e gli architetti Rosario Gagliardi, Paolo Labisi, Vincenzo Sinatra e Antonio Mazza.

Il risultato fu straordinario: Noto divenne la “perfetta città barocca”. La ricostruzione avvenne rapidamente grazie al coinvolgimento della nobiltà locale e delle autorità ecclesiastiche. Gli edifici, realizzati interamente in stile barocco, rispecchiano una moderna visione urbanistica, che si lascia alle spalle la struttura medievale con vicoli stretti, favorendo la creazione di piazze e strade ampie.

Una nuova consapevolezza del rischio sismico

La ricostruzione post-sisma del 1693 in Sicilia non solo ridefinisce il panorama urbano delle città coinvolte, ma rappresenta anche una pietra miliare nella storia antisismica. Le innovazioni architettoniche e urbanistiche adottate, come documentato in relazioni e istruzioni dell’epoca, evidenziano una consapevolezza crescente del rischio sismico.

La nuova cultura antisismica incluse diverse misure che rappresentarono un modello di riferimento internazionale per la prevenzione del rischio sismico:

  • il rapporto studiato tra altezza degli edifici e larghezza delle strade;
  • la progettazione di ampie piazze con vie di fuga;
  • l’uso di volte finte nelle costruzioni;
  • l’impiego di pilastri robusti, anziché di colonne;
  • il ricorso ad un più ampio spessore murario.

Mentre l’aspetto delle città veniva nuovamente plasmato, cominciava a definirsi un nuovo approccio che integrava estetica e sicurezza, che avrebbe rappresentato una grande lezione per il futuro.

Fonti: IngvTerremoti.com, TafterJournal.it, Ecostiera.it, Agi.it

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