Dissesto idrogeologico e rischio sismico provocano danni sempre più ingenti, che costano al paese circa 6 miliardi l’anno. Secondo l’ultimo rapporto Ance-CRESME si tratta di una spesa che, dal 2010 ad oggi, si è triplicata. La prevenzione non è più un obiettivo rimandabile.
Il secondo rapporto Ance-CRESME sullo stato di rischio del territorio italiano fa luce sulla situazione in cui versa il nostro paese. Gli aspetti su cui si indaga sono diversi: la distribuzione della popolazione sul territorio, il consumo di suolo, l’impatto del cambiamento climatico, la gestione del ciclo idrico, il rischio sismico, la pianificazione urbanistica nell’ottica della transazione ecologica.
La fotografia che ne risulta non è delle migliori, anzi: negli ultimi tredici anni, la spesa per i danni da alluvioni e dissesto idrogeologico è triplicata raggiungendo 3,3 miliardi l’anno. A questa si aggiungono altri 3 miliardi di euro annui di danni derivanti da eventi sismici.
Intervenire sulla prevenzione è più che mai un imperativo.
Una popolazione sempre più anziana e vulnerabile
Il rapporto Ance-CRESME apre con un’analisi demografica della popolazione italiana. Il nostro è un paese sempre più vecchio, che tende a svuotarsi. Dal 2013 il conto dei residenti ha evidenziato un sistematico calo, con un bilancio che ad oggi conta circa 1,5 milioni di abitanti in meno (-2,48%). Ci sono meno nascite, molti giovani emigrano all’estero e la popolazione anziana (con un’età maggiore di 64 anni) è in continuo aumento: negli ultimi 10 anni è passata dal 22,7% al 25,8% e in prospettiva potrebbe sfiorare il 30%.
Questi dati sono interessanti per due ordini di motivi: l’invecchiamento della popolazione si traduce in un numero sempre più elevato di soggetti vulnerabili, più esposti ai rischi del cambiamento climatico e alle conseguenze degli eventi calamitosi; il cambiamento della struttura demografica si ripercuote sulla dinamica delle famiglie e, quindi, sull’andamento della domanda abitativa.
Lo stock abitativo italiano
Il patrimonio edilizio italiano, e in modo specifico quello residenziale, è segnato da due problematiche diverse: la sua vulnerabilità e un diffuso e pericoloso abusivismo.
In Italia nel 2022 si contano 12,5 milioni di edifici. Di questi più di 7 su 10 hanno più di 40 anni, 7,5 su 10 sono edifici mono-bifamiliari, ma soprattutto quasi 2 su 10 sono in pessimo stato di conservazione. Queste tre caratteristiche, insieme, fanno capire come lo stock abitativo italiano sia altamente vulnerabile rispetto agli eventi estremi. L’obsolescenza degli edifici e il loro cattivo stato di conservazione non assicura un’adeguata risposta in caso di sisma. La forte presenza di edifici bassi comporta una tendenza ad una maggiore diffusione dell’edificato e, di conseguenza, una maggiore impermeabilizzazione dei suoli e una peggiore risposta ai fenomeni estremi legati alle precipitazioni. Infine, lo stato di conservazione pessimo e mediocre dimostra come la manutenzione edilizia sia spesso in ritardo rispetto alle necessità degli edifici.
Secondo i dati del report, sono 15,1 le costruzioni abusive per ogni 100 autorizzate in Italia nel 2021. Tra le aree geografiche la situazione del nord-est e nord-ovest è nettamente diversa rispetto a quella del sud e delle isole: nel 2021 ad esempio, nelle regioni del nord Italia i tassi di abusivismo erano inferiori al 5% nelle regioni del Mezzogiorno superavano abbondantemente il 35%.
Il consumo di suolo e i rischi ad esso collegati
Uno dei fattori che determinano l’incremento dell’esposizione al rischio di un territorio è l’impermeabilizzazione del suolo, ovvero la sua costante copertura con materiali impermeabili artificiali, come asfalto e cemento.
Secondo le statistiche EUROSTAT, in Europa il 4,2% della superficie è costruita. L’Italia si pone al di sopra di questa media, con il 7,14% di superficie costruita. Il consumo di suolo è più elevato nelle zone periurbane e urbane, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali.
I cambiamenti rilevati nell’ultimo anno si concentrano in alcune aree del Paese, in particolare in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Puglia. Il fenomeno rimane molto intenso nelle aree di pianura, lungo le coste e nelle principali aree metropolitane. Tra le città metropolitane ad incrementare maggiormente il suolo consumato nel quinquennio 2018 – 2022 sono nell’ordine Catania, Roma, Bari e Venezia.
Consumare suolo significa aumentare la superficie impermeabile e, quindi, il rischio idrogeologico del territorio. Ma non è l’unica conseguenza. Tra i fenomeni legati alla densità e alla configurazione delle aree urbane, l’isola di calore urbana ne rappresenta uno dei più complessi, spesso in relazione con le ondate di calore che si verificano specialmente nei mesi estivi.
Gli aumenti previsti della temperatura media e della frequenza, dell’intensità e della durata delle ondate di calore potrebbero avere gravi ripercussioni sulla salute pubblica, in particolare tra gli anziani e nelle città. Globalmente, negli ultimi 20 anni, la mortalità legata al calore nelle persone di età superiore ai 65 anni è quasi raddoppiata. La Regione Mediterranea ha avuto i più alti tassi di mortalità legati al caldo, con l’Italia al primo posto (295 decessi per milione).
L’impermeabilizzazione è un fenomeno dai risvolti pericolosi, ma non è un processo irreversibile: si può de-impermeabilizzare riqualificando o rinaturalizzando aree precedentemente edificate, ristabilendo quindi la naturale resistenza di un territorio agli eventi catastrofici.
Lo stato di rischio in Italia
Quando si parla di rischio, sia esso sismico, vulcanico o idrogeologico, si intende un valore concreto e calcolabile, definito come il prodotto di tre fattori:
- pericolosità, la frequenza e dalla ‘forza’ degli eventi catastrofici;
- vulnerabilità, la propensione di cose e persone a subire un danno di un determinato livello, a fronte di un evento catastrofico di una data intensità;
- esposizione, il valore, in termini di vite umane, di beni culturali e/o artistici, di beni mobili e/o immobili, ecc. sottoposti al rischio.
Il rischio idrogeologico in Italia
In Italia il rischio di alluvioni elevato interessa 2,4 milioni di persone. Se si considera il rischio medio, si arriva facilmente a quasi 7 milioni di persone esposte.
Al rischio alluvioni si aggiunge quello degli allagamenti. Le aree a pericolosità idraulica elevata, allagabili con tempo di ritorno compreso fra 20 e 50 anni, sono il 5,4% del territorio nazionale; le aree a pericolosità media, allagabili con tempo di ritorno compreso fra 100 e 200 anni, il 10%; quelle a pericolosità bassa, allagabili in caso di eventi rari o estremi, raggiungono il 14% del territorio nazionale.
Il rischio sismico in Italia
Tra i paesi dell’area mediterranea, l’Italia ha una pericolosità sismica che può considerarsi medio-alta. Nelle aree a rischio maggiore (zona sismica 1, 2 o 3) risiedono oltre 50 milioni di persone e si trovano quasi 12 milioni di edifici, di cui 10 milioni per abitazione.
I terremoti sono eventi “non prevedibili” quindi l’unico modo che si ha per prevenire i danni alla popolazione è agire sulla qualità delle strutture, di nuova e di vecchia costruzione. Considerato che le nuove costruzioni annue non arrivano a rappresentare l’1% del già costruito, è fondamentale mettere in sicurezza le strutture esistenti.
Il problema della sismicità riguarda tutta la penisola, da nord a sud, ma interessa maggiormente l’arco appenninico e le regioni del centro sud, proprio le aree in cui il patrimonio edilizio è più antico e meno adeguato per rispondere alla pericolosità.
La spesa per coprire i danni degli eventi catastrofici
In Italia, dal 1944 a luglio 2023 si stimano danni prodotti da terremoti e dissesto idrogeologico per 358 miliardi di euro a valori 2023.
Tra 1944 e 2009 si sono spesi mediamente 4,2 miliardi di euro all’anno; dal 2010 al 2023 la spesa è salita a 6 miliardi di euro; ma mentre la spesa per riparare i danni degli eventi sismici è rimasta sui livelli storici (2,7 miliardi nel periodo 2009-2023 contro 3,1 del passato), per quanto riguarda il dissesto idrogeologico la spesa è triplicata, passando da una media di 1 miliardo all’anno a 3,3 miliardi.
Fondamentale investire in prevenzione
Negli ultimi vent’anni, l’Italia è stata la maggior beneficiaria del Fondo di solidarietà dell’UE per l’emergenza idrogeologica, con oltre 3 miliardi di euro ricevuti, pari a circa il 37% dell’importo totale erogato a 28 Paesi europei. E negli ultimi cinque anni la spesa dei comuni per la sistemazione del suolo e per le infrastrutture idrauliche è più che raddoppiata. Eppure, non si fa ancora abbastanza sul fronte della prevenzione.
Secondo Ance e Cresme, è necessario agire su più fronti:
- intervenire sulla governance, riportando ad un unico soggetto il coordinamento delle istituzioni coinvolte;
- velocizzare al massimo il passaggio dalle risorse ai cantieri;
- prevedere un sistema informativo unico attraverso il quale gli enti coinvolti possano avere informazioni precise sulle scadenze e sulle modalità di accesso ai finanziamenti.
Durante la presentazione del rapporto Ance-CRESME, il Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, ha annunciato “un disegno di legge per la ricostruzione che andrà in Consiglio dei ministri alla prossima seduta” e ha sottolineato l’importanza di “un piano di programmazione con risorse e tempi necessari per raggiungere gli obiettivi”.
Fonti: Ance.it, Rinnovabili.it