Le case popolari in Italia rappresentano il 4% dello stock abitativo totale: una percentuale ancora bassa rispetto al fabbisogno nazionale e allo scenario in vigore in altri paesi UE
FederCasa lo aveva già dichiarato nel 2019, ma la situazione, ad oggi, appare chiara: nel nostro Paese le case popolari sono circa 750mila e ospitano poco più di due milioni di persone. Un numero che non è all’altezza della domanda e che registra diverse criticità.
Sono due le principali cause dell’emergenza abitativa italiana: la pianificazione urbanistica del territorio e la gestione sociale delle abitazioni. In termini di edilizia residenziale pubblica (ERP), infatti, l’Italia non riesce a raggiungere la media europea del 6% e si posiziona dietro a Francia, Danimarca e Paesi Bassi, che hanno dedicato più del 10% delle strutture all’housing sociale.
Nel 2021, subito dopo il lockdown e nonostante l’inflazione, il nostro Paese ha registrato un buon aumento dell’attività edilizia e ha visto crescere il numero di permessi di costruzione in ambito residenziale (+21,9% rispetto all’anno precedente). Eppure, i lunghi tempi di realizzazione e la normativa carente in materia di riqualificazione hanno rallentato la disponibilità degli immobili.
Oltre questo vanno considerate le caratteristiche tipiche del nostro patrimonio immobiliare, spesso antiquato, inefficiente rispetto alle nuove necessità e agli standard abitativi moderni.
L’edilizia residenziale pubblica tra gap e possibilità
L’edilizia pubblica in Italia ha spesso scontato una certa marginalità, aggravata, tra il 1993 e il 2013, dalla politica di alienazione degli alloggi che ha portato alla perdita di oltre il 22% del patrimonio.
Ad oggi, le indagini raccolte da Nomisma nel report “Dimensione del disagio abitativo pre e post emergenza Covid-19” parlano di 758mila immobili, di cui 652mila assegnati regolarmente. Eppure le domande di case popolari in attesa, senza prospettiva di assegnazione, sono 650mila e Nomisma ha stimato che siano 1,2 milioni i nuclei familiari in affitto (fuori del sistema ERP) che vivono una condizione di “disagio economico acuto”.
A tal proposito, in occasione degli Stati Generali della Natalità di maggio 2023, il Presidente Sergio Mattarella ha ribadito l’invito ad applicare “politiche abitative, fiscali e sociali appropriate e conciliare l’equilibrio tra vita e lavoro”.
Tra le strategie nazionali, FederCasa punta sulla definizione e diffusione delle metodologie di gestione sociale dell’edilizia pubblica promuovendo iniziative di social housing nel territorio nazionale. Nello specifico, questo modello abitativo permette di:
- migliorare la qualità della vita nei quartieri;
- integrare e coordinare servizi (sociali, sanitari, scolastici e formativi) fondamentali per la vita quotidiana e garantirne l’accesso;
- aiutare le persone a ridurre o superare le situazioni di fragilità economica, sanitaria e sociale e facilitare la partecipazione di chi vive in condizioni di disagio;
- assicurare legalità e condivisione delle responsabilità migliorando la coesione sociale e la cura del patrimonio immobiliare;
- monitorare e prevenire situazioni di marginalità.
Al di là degli sforzi nazionali, anche l’Unione Europea sta spingendo sul fronte degli investimenti nell’edilizia popolare attraverso il Green New Deal, che intende migliorare la qualità dello stock edilizio in termini di efficientamento e abbattimento dei costi.
Sulla stessa scia, il nostro Governo ha previsto di investire 2 miliardi di euro del PNRR nel campo dell’edilizia residenziale pubblica. L’obiettivo del finanziamento sarebbe quello di migliorare l’efficienza energetica, la resilienza e la sicurezza sismica delle case popolari, in un’ottica di ammodernamento del patrimonio immobiliare.
La difficile questione degli affitti
Il tema dell’abitare in Italia è tornato alla ribalta con le proteste degli studenti universitari, impegnati contro il caro affitti, ma non è un’assoluta novità. I dati ISTAT per il 2021 mostrano un’Italia divisa in tre parti, dove la casa è diventata un elemento discriminante:
- il 70% della popolazione, circa 18,2 milioni di famiglie, viveva in case di proprietà (il trend appariva già in calo rispetto all’80% registrato nel 2017);
- il 20,5% occupava casa in affitto (5,2 milioni di famiglie);
- il restante 8,7%, corrispondente a 2,2 milioni, abitava in case concesse a titolo gratuito e in usufrutto (dato inferiore rispetto alla media europea, fissata intorno al 30%).
Come ricorda Welforum.it, la questione non riguarda più solo gli standard abitativi (per quanto i nuclei familiari a reddito più basso soffrano ancora situazioni di sovraffollamento e insalubrità), ma anche l’affordability. Questa dinamica intende l’accessibilità al mercato dell’affitto o dell’acquisto, specie da parte di chi vi accede per la prima volta (come giovani e popolazioni immigrate).
La criticità principale sul tema delle abitazioni popolari riguarda le case sfitte, che rappresentano il 7% del totale del patrimonio destinato all’ERP (quasi 55mila immobili) e non possono essere occupate. I tempi di assegnazione degli appartamenti sono spesso troppo lunghi e, a complicare ulteriormente il quadro, intervengono anche i problemi legati alla manutenzione di questi stabili. Gli alloggi sfitti che necessitano di interventi sarebbero infatti 16mila, a cui va aggiunto un numero non meglio precisato di immobili già assegnati che necessitano lavori di manutenzione tempestivi.