Il futuro (e il presente) dell’architetto. Intervista a Pino Falzea

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Ordine Architetti ME - foto sunset da Pixabay

Marzo è stato il mese in cui tutto (o quasi) si è dovuto fermare. Dati dell’OICE mostrano un netto rallentamento delle gare, da leggersi come calo nel numero e nel valore degli importi, rispetto al mese e all’anno precedente. Il blocco delle attività non essenziali e il continuo protrarsi delle restrizioni stanno proiettando una lunga ombra anche sul mondo delle professioni tecniche, strette tra la sospensione dei cantieri e delle attività di progettazione ancora in corso, mentre Renzo Piano con un video messaggio da Parigi invita gli architetti, di oggi e di domani, a non angosciarsi perché «… ci sarà da costruire un futuro migliore».

Tradimalt tramite il nostro collaboratore arch. Domenico Mollura ha posto alcune domande all’Arch. Pino Falzea, presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Messina e, proprio in questi giorni, nominato alla guida della Consulta degli Architetti Siciliani.

Ordine Architetti ME - foto P.FalzeaPresidente, il Consiglio dell’Ordine dopo le prime restrizioni si è subito attivato per riunirsi “a distanza”, facendo sentire la propria voce presso INARCASSA e i Ministeri dell’Economia e delle Politiche Sociali. Quali sono state le principali deliberazioni per la gestione dell’emergenza per i propri iscritti?

Noi abbiamo sempre continuato la nostra attività ordinistica, pur se a distanza, cercando di seguire con grande attenzione le questioni che riguardano il comparto dell’edilizia e, nel particolare, delle professioni tecniche in questo periodo di estrema difficoltà per tutti. Oggi il Paese è fermo ed è un obbligo morale pensare a tutti, per questo siamo intervenuti per correggere un aiuto a nostro avviso diseguale e riportarlo sui giusti binari: non abbiamo certo la presunzione di dire che grazie a noi il Decreto attuativo dell’art. 44 DPCM 17 marzo è stato modificato, ma abbiamo fatto la nostra parte. Naturalmente stiamo facendo altro per i nostri iscritti: differimento per il pagamento della quota di iscrizione, rateizzazione delle quote di iscrizione pregresse e non versate per dare la possibilità ai colleghi in atto sottoposti a procedimento disciplinare, di regolarizzare con gradualità la propria posizione, assistenza costante pur se a distanza per tutti coloro che hanno necessità di pareri, consigli e quant’altro. Ma stiamo pensando anche al dopo: quando il Paese ripartirà, bisognerà fare in modo di non lasciare indietro nessuno.

Paolo Mazzoleni, presidente dell’Ordine di Milano – uno dei più grandi d’Italia – invita ad un riposizionamento delle strategie di Ordini e Consiglio Nazionale degli Architetti. Cosa ha generato (o sta generando) il cortocircuito comunicativo tra governo “centrale” e “locale” della professione?

Per la verità non vedo questo cortocircuito: sì, possono esserci, come è naturale che sia, posizioni differenti su come agire in una fase difficile. Ma non vedo un distacco tra “centro e periferia”, ben consapevole del fatto che è complicato il confronto a distanza. A mio avviso, durante l’ultima riunione a distanza tra ordini e consiglio nazionale, il Presidente Capocchin ha delineato in maniera corretta il percorso da seguire: azioni per l’emergenza sanitaria ma nel contempo, insieme alle altre professioni, un piano di azione per il dopo crisi il più incisivo possibile. E noi ci siamo e stiamo lavorando alla elaborazione di proposte che confronteremo con gli altri ordini territoriali e con il Consiglio Nazionale.

Con un forzato parallelo post-bellico, si immagina una “ricostruzione” del Paese dopo l’emergenza. Fuori metafora il Covid-19 non si lascerà alle spalle palazzi sventrati e quartieri distrutti ma si avverte il pericolo – lo ha già fatto Italia Nostra – di una possibile deregolamentazione in campo edilizio. Quale dovrà essere invece l’innovazione normativa più importante per il rilancio del settore delle costruzioni?

Dobbiamo lavorare su due fronti. Da un lato i servizi di architettura nel settore delle opere pubbliche, che a nostro avviso sarà il primo a ripartire, considerato che il governo vorrà puntare in maniera decisa su questo settore per rilanciare l’economia del nostro paese, aprendo il settore a tutti senza, come detto in precedenza, lasciare indietro nessuno. Occorre per questo una immediata modifica del codice dei contratti, e qui mi sento di suggerire alcuni spunti, in linea con quanto già detto nei giorni scorsi dal nostro Vicepresidente Nazionale Rino La Mendola.

Limitare l’affidamento dei servizi di ingegneria e architettura ai soli liberi professionisti, cancellando da subito la centrale unica di progettazione sia nazionale che regionale.

Prevedere l’assegnazione di incentivi economici per i dipendenti pubblici, che si dovranno occupare di programmazione delle opere e controllo delle fasi di progettazione ed esecuzione delle stesse.

Semplificare, per le pubbliche amministrazioni, sia la programmazione delle opere pubbliche ritenute strategiche che l’affidamento dei servizi professionali per la progettazione e realizzazione delle stesse, in modo che ogni ente possa dotarsi in tempi di un buon parco progetti per le opere ritenute indispensabili. Per il primo aspetto sarebbe utile abolire l’obbligo di redazione del progetto di fattibilità tecnica ed economica, troppo complesso e lungo nella sua elaborazione, per ritornare al più semplice “studio di fattibilità”, per la cui redazione dovrebbero essere interessati i tecnici interni alle amministrazioni, gratificandoli con un premio da inserire nel quadro economico e corrispondere con il finanziamento dell’opera. Per gli affidamenti sotto i 40 mila euro non deve essere consentito alcun ribasso, altrimenti si ricade in un criterio di selezione (il prezzo più basso) che contraddice il senso della norma stessa (affidamento diretto). Poi per i servizi tra i 40 mila euro e la soglia comunitaria, si dovrebbe eliminare la inutile fascia e ricorrere alla procedura negoziata con invito ad almeno 10 professionisti e lo scarto dell’offerta anomala.

Dall’altro lato i servizi di architettura nel settore dei lavori privati, suggerendo modifiche immediate al Testo Unico dell’Edilizia. Per questo innanzi tutto penso che ognuno debba ritornare a fare il suo lavoro: il libero professionista ad occuparsi della progettazione direzione dei lavori privati; i tecnici delle pubbliche amministrazioni ad emettere i provvedimenti e effettuare i dovuti controlli.

Devono essere riviste le assunzioni di responsabilità non remunerate da parte dei liberi professionisti, spesso rischiose in un paese dalle troppe leggi, poco chiare e oggetto di interpretazione da parte anche dalla Giustizia amministrativa e, cosa ancor più grave, penale. Ad ognuno il suo, garantendo una equa retribuzione per tutti: per i liberi professionisti che progettano e per i tecnici della pubblica amministrazione che esaminano e contribuiscono all’emissione di atti amministrativi.

Inoltre, alle già vigenti leggi sull’equo compenso, bisogna aggiungere l’obbligo di applicazione di inderogabili parametri di riferimento anche per i servizi di architettura e ingegneria prestati a favore dei committenti privati. Ed il contratto scritto che regola i rapporti tra libero professionista e committente privato, già obbligatorio per legge, deve costituire allegato anche in questo caso obbligatorio per l’ottenimento dei titoli edilizi, e deve prevedere i compensi determinati ai sensi degli anzidetti parametri di riferimento. Così si garantisce la qualità del progetto, combattendo nel contempo le tentazioni all’elusione fiscale.

Infine, alla rapida definizione delle pratiche edilizie da parte dei pubblici dipendenti deve corrispondere un incentivo economico per gli stessi, non secondo una redistribuzione “a pioggia” per tutti, ma assegnato ai più virtuosi. Le somme dovrebbero essere individuate destinando una percentuale degli oneri concessori o, qualora si tratti di interventi non a titolo oneroso per il privato, una percentuale dei contributi che i privati stessi saranno chiamati a versare a titolo di “esame progetto”, sempre – in entrambi i casi -che lo stesso esame si concluda con un atto amministrativo nei tempi di legge.

Quale ruolo potranno svolgere gli Ordini, perché la fine dell’emergenza diventi occasione di progressiva – se pur lenta – rinascita della professione e non l’inizio di una crisi strutturale ancora più inestricabile di quella ancora in atto ormai da oltre un decennio?

Dovranno avere la capacità di trovare e suggerire alla politica soluzioni credibili nell’interesse non della categoria, ma del Paese. Per questo le divisioni non aiutano. Comprendo che tra un anno si voterà per il rinnovo del Consiglio Nazionale e forti sono le tentazioni di marcare le differenze. Ma non ce lo possiamo permettere, l’Italia non se lo può permettere: dobbiamo dimostrare di sapere affrontare le questioni che riguardano il futuro di tutti in maniera laica, senza soffermarsi troppo sugli interessi particolari che, seppur legittimi, in questa fase estremamente difficile rischiano di procurare danni irreversibili.

Il presente ci sta mostrando di essere sempre più fragili, come individui e come comunità: tre parole d’ordine dell’Architettura Italiana (e non solo) per il prossimo futuro

La questione ambientale deve stare sempre al centro di qualunque programma di trasformazione urbana, ma anche di qualunque intervento puntuale nei territori.

Bellezza. Le nuove costruzioni devono essere “Architetture” e non semplici prodotti di edilizia, perché modificano i paesaggi per almeno un secolo ma anche perché contribuiscono a generale a loro volta bellezza e, conseguentemente, rispetto per la città. Ecologia. Le nuove Architetture devono “Consumare” poco, producendo loro stesse l’energia necessaria per viverle. Densificazione. Le nuove Architetture devono liberare spazio nelle nostre città per donare alle stesse nuove aree per la socializzazione collettiva. La densificazione deve essere quantitativa, accorpando i volumi per occupare meno territorio possibile, ma anche e specialmente qualitativa, progettando edifici belli ed energeticamente indipendenti.

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