Ricardo Bofill, l’architetto nomade che sapeva reinventarsi

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Ricardo Bofill
Credit foto: World Architecture

Ricordiamo l’estro e il fascino del grande urbanista spagnolo.

Controverso, colto ed elegante, Ricardo Bofill si è spento a 82 anni lo scorso 14 gennaio 2022 nella sua casa a Barcellona. Il suo spirito irrequieto e curioso lo ha portato a vivere spostandosi spesso da un luogo all’altro, motivo che gli ha valso la fama del più internazionale degli architetti spagnoli della sua generazione.

La ragione dietro ai suoi continui viaggi è stata molto semplice: “Costruire in 40 Paesi moltiplica i punti di vista. Viaggiare ti obbliga a riconoscere la differenza tra ciò che pensi, o ti aspetti, e la realtà” ha affermato in un’intervista al quotidiano spagnolo El Paìs.

È nell’origine borghese della sua famiglia che si rintracciano le basi del pensiero bofilliano, ovvero lo sguardo cosmopolita sul mondo e la consapevolezza della stretta relazione tra architettura, business e politica.

Ricardo Bofill è stato infatti tra i primi a comprendere la globalizzazione della figura dell’architetto, forse anche grazie ai viaggi insieme al padre costruttore. Già all’età di 18 anni, girando tra Spagna e Italia, aveva imparato che l’architettura non può essere tradotta da un posto all’altro e deve essere specifica per ogni luogo.

Walden 7 di Ricardo Bofill
Credit foto: ELLE Decor

Nel corso della sua carriera, l’architetto catalano si è più volte fatto difensore dell’importanza della storia e per questo considerava come punto di forza la sua capacità di reinventarsi in ogni luogo, rispettando il contesto, ma senza mai dimenticare di lasciare la sua personalissima impronta.

Proprio la trasversalità che aveva ereditato dal padre lo aveva spinto a pensare che l’architettura da sola non avesse nessun senso, motivo per cui, quando fondò il suo studio nel 1963, decise di circondarsi di architetti ma anche di artisti, filosofi, matematici e intellettuali di ogni genere.

Gli esordi: ispirazioni mediterranee e logica inflessibile

Ciò che appassionava di più Ricardo Bofill era la possibilità di inventare nuove architetture e linguaggi, e così già dai primi anni di lavoro accolse le più diverse suggestioni: lo stile vernacolare catalano, quello minimalista della casbah nordafricana, i castelli fatati delle fiabe e la poesia visiva del Surrealismo.

Prima di abbracciare il postmodernismo, e di diventarne uno dei nomi più influenti, Bofill sperimentò nuove soluzioni per gli alloggi sociali, in aperta polemica con i modelli dell’esperienza anglosassone. Guardando alle unità abitative cubiche tipiche di Ibiza e del Marocco, infatti, sviluppò il concetto di un grande complesso residenziale strutturato come un quartiere multifunzionale.

La città bofilliana rifiutò sempre lo spazio lineare in favore di una struttura organica, complessa e modulare, fatta di incastri e alloggi costruiti secondo precisi regole logico-matematiche.

La più alta espressione di questi anni di ricerca sull’edilizia residenziale sociale sono il complesso residenziale madrileno la Ciudad en el Espacio e gli abitati El Castillo de Kafka e Walden 7 a Barcellona.

Tuttavia, il desiderio di costruire nuove città capaci di interpretare i sogni inconsci dell’uomo finì per scontrarsi con le trasformazioni del mercato e della professione dell’architetto. Fiducioso nelle sue capacità e con occhio sempre vigile al futuro, Ricardo Bofill si fece così interprete di ambiziosi progetti edilizi per soddisfare l’establishment politico francese e divenne il primo architetto dello star-stystem.

Del resto, parlando a proposito delle sue variegate espressioni stilistiche, si giustificò dicendo “So fare solo due cose: progetti urbanistici a grande scala e creare linguaggi architettonici diversi”.

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