Il dopo terremoto dell’Etna. In attesa del Decreto del Governo.

1436

A poco più di un mese dal terremoto che ha colpito la provincia di Catania a ridosso di Natale causando danni e crolli, un migliaio di sfollati, ma fortunatamente solo una decina di feriti lievi, proviamo a fare una riflessione sul tema della prevenzione del rischio sismico e della ricostruzione.

La zona protagonista della scossa e dello sciame sismico durato poi vari giorni è quella di un territorio ciclicamente squassato da sismi localizzati e violenti. Già nel 2002 e ancora nel 1984, quando a Fleri crollò la stessa chiesa crollata in questa occasione. Ma ancora, nel marzo del 1952 un terremoto molto simile per danni registrati ed estensione della zona colpita interessò lo stesso territorio. Un dato con cui bisogna fare i conti quando si parla di ricostruzione.

“Al momento non si sta parlando di delocalizzazione – è quanto ha dichiarato Calogero Foti, dirigente della Protezione Civile regionale e commissario delegato per la ricostruzione, come pubblicato da LaSicilia – Ritengo però che nuove costruzioni in quell’area non ce ne debbano poter essere, è una cosa diversa. La chiesa di Fleri fu ricostruita accanto quella crollata, chiaro che se si costruisce su un campo di frattura il risultato è quello di oggi”.

Ciò che si attende è il Decreto sulla ricostruzione del Governo nazionale, a cui sta lavorando il sottosegretario alla Presidenze Vito Crimi, vagliando la possibilità di ricalcare il dettato del decreto sisma emanato in occasione del terremoto del Centro Italia e pensando a interventi strutturali per la gestione delle emergenze di questo tipo.

Serve una norma che permetta, un istante dopo il verificarsi di una tragedia come quella di un terremoto (e non solo), ad ogni cittadino, impresa, istituzione del Paese di sapere quali misure di sostegno economico e socioassistenziale saranno adottate e quali agevolazioni fiscali per le proprie case, famiglie e aziende saranno messe in atto e per quanto tempo”. Questo è quanto ha dichiarato in un’intervista pubblicata da Avvenire lo scorso 18 gennaio

“L’intenzione per il futuro – prosegue l’intervista – è di proporre la creazione di una struttura centralizzata, presso la presidenza del Consiglio, che si occupi della fase post-emergenza nei Comuni parallelamente all’opera portata avanti dalla Protezione civile. Un servizio nazionale di ricostruzione che possa contare su un migliaio di professionisti, tecnici specializzati ed esperti arruolati in pianta stabile, senza necessità di nominare di volta in volta commissari e strutture territoriali intermedie. È una proposta operativa che potrebbe rientrare nel testo unico per essere poi realizzata nel 2020”.

Nel frattempo il Centro Italia è bloccato da una ricostruzione lenta e frammentaria, con alcune zone ancora sommerse dalle macerie, che richiede interventi immediati ed efficaci.

E come ogni volta che un terremoto mette in ginocchio una parte del nostro Paese si torna, accanto a criticare la lentezza degli interventi, a discutere di prevenzione del rischio sismico e di consolidamento degli edifici. Una delle domande che ritorna è come sia possibile che edifici che hanno resistito a sismi precedenti crollino poi in altri.

Una domanda a cui ha provato a rispondere l’ingegnere responsabile del settore Ricerca e sviluppo di Tradimalt, Francesco Grungo, durante la seconda tappa del ciclo di seminari “La progettazione nasce dalla conoscenza del danno del sisma – Un viaggio nei luoghi dei più grandi terremoti italiani”.

Un approfondimento tecnico interessante in attesa di conoscere, si spera quanto prima, cosa stabilirà il Decreto del Governo e se si concretizzerà la creazione di una struttura centralizzata che si occupi della fase post-emergenza nei Comuni colpiti dai terremoti.

Foto credit: Ansa/ORIETTA SCARDINO

CONDIVIDI

NESSUN COMMENTO

SCRIVI UNA RISPOSTA