Donne e architettura: i numeri tracciano un panorama complesso

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Donne e architettura
Foto via Unione Professionisti

Il 45,1% degli iscritti all’Albo degli Architetti in Italia è rappresentato dalle donne. Il gender gap è una questione soprattutto culturale, non professionale

Nell’immaginario comune quello dell’architetto è ancora un lavoro prettamente maschile, tanto è vero che a volte si fatica anche a parlare di “architetta”. Eppure, tra il 2010 e il 2020 le donne nel settore sono cresciute del 13,9% e fino al 2023 il trend ha registrato un ulteriore aumento dello 0,6% (contro un pari decremento nel numero dei colleghi maschi).

Di oltre 157 mila iscritti all’Albo degli Architetti, 71.190 sono donne. Di queste, il 61,59% delle professioniste ha meno di 35 anni: si tratta della fetta più consistente, seguita dalla fascia d’età 41-50 anni, che registra il 30,6% delle iscritte.

Diverse aziende negli ultimi anni si sono impegnate a promuovere l’impiego femminile nel comparto e la maggiore consapevolezza sul tema sta dando i suoi frutti, almeno in termini numerici. Se consideriamo l’ultimo ventennio, infatti, la quota di donne abilitate è cresciuta in modo progressivo e ha superato la soglia del 55% nella media degli ultimi cinque anni.

Tuttavia, specie quando appartengono alle fasce più giovani, le architette devono fare i conti con un mercato del lavoro che offre poche tutele e molte disuguaglianze. Ancora troppo spesso, infatti, le donne architetto non godono dello stesso trattamento della controparte maschile, soprattutto in termini di reddito e reputazione.

Quota di donne tra gli abilitati alla professione di architetto
Quota di donne tra gli abilitati alla professione di architetto, pianificatore, paesaggista e conservatore. [Rapporto CNAPPC 2021] • Foto via Ingenio

La disparità degli stipendi

Partiamo da una premessa. Rispetto ai colleghi europei, il reddito complessivo degli architetti italiani è decisamente inferiore e nell’ultimo decennio ha assistito ad una contrazione del 46%.

In questo contesto, la differenza tra reddito maschile e femminile appare ancora più evidente. È vero che rispetto al 2000 il gender pay gap in Italia si è ridotto notevolmente, ma la strada è ancora lunga. Al 2021, infatti, lo scarto era del 48% in favore degli uomini (nel 2000 era dell’85%).

Le cause nella disparità degli stipendi sono diverse e si legano alle dinamiche culturali e sociali. La scarsità di servizi per le famiglie rappresenta spesso un deterrente importante. Ancora oggi, la crescita dei figli, la loro educazione e la cura della famiglia d’origine sono ritenuti perlopiù “compiti da donna”.

Ciò è tanto più evidente in alcune zone dell’Italia: alla differenza di genere, quindi, si aggiunge quella territoriale Nord-Sud. Le province di Genova, Modena e Ravenna sono ai primi posti per le quote femminili, rispettivamente con il 54,9%, il 54,3% ed il 52,6% delle iscritte. Qui, infatti, le donne possono contare su maggiori opportunità di supporto. Agrigento (31,9%), Crotone (29,7%) e Caltanissetta (26,4%), invece, si piazzano agli ultimi posti della classifica.

Proprio perché non trovano spesso assistenza, le architette impiegano mediamente più tempo degli uomini a raggiungere posizioni elevate. Soprattutto nel caso di giovani professioniste e di madri. Come ha ricordato l’ingegnera Ippolita Chiarolini, maternità e carriera per una donna appaiono molte volte come due temi contrapposti che non possono essere gestiti in parallelo. Molte aziende rifiutano ancora lo smart working e questo determina una prima condizione di disparità tra architette e architetti.

I dati sul gender pay gap
Elaborazione Abitare su dati Cresme e Consiglio europeo degli architetti. (Illustrazione Roberto Ricci) • Foto via Abitare

Una scalata difficile

Al di là di quanto discusso finora, c’è da dire anche che il mondo dell’architettura femminile è attraversato da certi luoghi comuni obsoleti e senza fondamento. Lo ha ricordato la giornalista del New York Times Allison Arieff, a dimostrazione del fatto che queste dinamiche non sono esclusive del nostro Paese. Secondo Arieff si tende a pensare che le donne siano meno creative, che non sappiano gestire l’autorità e che siano più manchevoli sul lavoro. Proprio questo porterebbe alla disparità di retribuzione, riconoscimento e accesso alle opportunità.

Eppure, naturalmente, non è così. La storia è corredata da esempi di donne illustri che si sono distinte per opere e imprese. Basti a pensare a Plautilla Bricci, che nel XVII secolo fu la prima donna di sempre a diventare architetta; a Signe Hornborg, prima in Europa a laurearsi in architettura nel 1890; e anche a Minerva Parker Nichols, che sul finire del Novecento inaugurò il proprio studio di architettura.

È anche vero, dall’altro lato, che dietro ogni successo si celano diverse sconfitte. Ne sono esempio Marion Mahony Griffin, Eileen Gray e Lilly Reich, artiste talentuose che sono state messe in ombra dai colleghi uomini. Molte sono state le architetture derubate dei loro meriti e ancora oggi, purtroppo, sono tante quelle che denunciano una situazione scomoda.

Citando ancora Allison Arieff, c’è una cosa che tutte le aziende potrebbero fare adesso per promuovere l’uguaglianza: pagare uomini e donne allo stesso modo. Nel caso specifico dell’Italia, noi aggiungiamo anche la necessità di creare delle reti di supporto che favoriscano l’attività professionale delle architette.

Non esiste propriamente un’architettura maschile e una femminile. Le stesse differenze, di fatti, non esistono. Lo ripeteva spesso Zaha Hadid, che era solita ricordare di essere “un architetto, non solo una donna architetto”.

Fonti:

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