PNRR, piano di attuazione in ritardo: cause e conseguenze

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PNNR, ritardi nel piano di attuazione: il dossier della Corte dei Conti
Credit foto: SkyTG24

Assunzioni precarie nella PA, semplificazioni insufficienti, aumento dei costi: il rapporto della Corte dei Conti evidenzia le difficoltà di assorbimento delle risorse da parte degli istituti centrali

Il tasso di attuazione finanziaria del PNRR, registrato fino a febbraio 2023, ammonta al 6% del totale e, rispetto ai finanziamenti spesi soltanto l’1% dei progetti è stato completato.

Ciò che emerge dalla relazione della Corte dei Conti sull’avanzamento del PNRR è che il nostro Paese ha speso solo 23 miliardi di euro dei 67 già incassati, somma alla quale devono aggiungersi gli altri 21,8 miliardi della terza tranche richiesta dal Governo il 30 dicembre 2022.

Già a partire dal 2023 si avrà un recupero del trend di spesa. La traslazione delle spese assegnate al triennio 2020-2022, però, andrà a pesare sulla capacità di erogazione degli istituti pubblici per tutto l’anno in questione.

Con una spesa cumulata di quasi 15 miliardi, infatti, il picco di investimento sarà raggiunto tra il 2024 e il 2025, con valori annuali stimati che supereranno i 45 miliardi di euro.

L’Italia ha effettivamente raggiunto i 55 obiettivi per il secondo semestre del 2022, ma le spese sono state modeste e più della metà delle misure previste è in netto ritardo rispetto alla tabella di marcia.

Secondo i dati registrati da ReGis, il sistema di monitoraggio e rendicontazione della Ragioneria di Stato, le unità progettuali censite finora riguardano soltanto 148 delle 285 misure indicate nel PNRR (il 52% del totale). Fatta eccezione per la Missione 3, “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”, che ha registrato un rapporto tra spesa sostenuta e totale delle risorse del 16,4%, tutte le altre missioni raggiungono tassi al di sotto del 10%.

Le cause dei ritardi

I ritardi nella spesa dei fondi non sono una novità ed erano noti già dai primi mesi del 2022. Il problema, adesso, si lega al nuovo rinvio dell’esborso della terza tranche: per l’Italia perdere questa parte delle risorse significherebbe rinunciare ad ulteriori investimenti utili a modernizzare il Paese.

Il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha confermato a QuiFinanza che l’attuazione del PNRR “è la priorità del Governo”, ma ha anche ammesso che occorre “effettuare un’analisi che consenta di avere un quadro preciso sulla realizzabilità complessiva degli interventi previsti, per migliorare, quanto possibile, gli aspetti più problematici e nel caso rivedere i piani iniziali”.

Tra le principali cause che hanno rallentato le spese del Piano Nazionale di Resilienza e Recupero non si escludono la messa in funzione della piattaforma ReGis, che è andata a regime nell’estate 2022 (avrebbe dovuto farlo entro la fine del 2021), e le diverse aggiudicazioni ostacolate da confusioni nelle procedure.

Esploriamo in dettaglio le altre motivazioni.

Difficoltà nelle assunzioni per la PA

Il prerequisito per spendere i 200 miliardi circa di euro complessivi sarebbe stato quello di rimettere in sesto la Pubblica Amministrazione, paralizzata dal decennio di congelamento del turnover.

In questo caso, però, i finanziamenti del PNRR non sarebbero abbastanza: trattandosi di un piano limitato nel tempo, le risorse stanziate possono essere usate solo per assunzioni temporanee a supporto delle amministrazioni per il tempo necessario.

Il Governo Draghi si è occupato di riformare l’iter di reclutamento e ha avviato la selezione di personale qualificato a tempo determinato. L’operazione non ha portato però ai risultati sperati: contratti brevi e stipendi bassi hanno scoraggiato i vincitori, che spesso hanno preferito accettare contratti stabili.

Trovare gli specialisti necessari per gestire gli appalti sta diventando sempre più difficile. Secondo la Ragioneria generale dello Stato, nel 2022 sono stati assunti 2.500 tecnici contro i 15 mila attesi. “In particolare nel Mezzogiorno – sottolinea la Corte dei Conti – molte amministrazioni non hanno competenze adeguate per seguire procedure così complesse come quelle del PNRR”.

Semplificazioni insufficienti

Burocrazia complessa, procedure obsolete ed enti locali immobili hanno rallentato la spesa dei fondi. A partire dal 2020 sono stati pubblicati in serie diversi Decreti Semplificazioni per introdurre deroghe alle procedure di aggiudicazione dei lavori (le stesse che adesso diventano strutturali con il nuovo Codice Appalti).

Il primo l’ha firmato Conte nel 2020, il secondo Draghi nel 2021. A febbraio 2023 il Governo Meloni ha allargato l’applicazione dell’appalto integrato e delle procedure negoziate senza bando e ha accelerato l’attivazione dei poteri sostitutivi in caso di inerzia degli enti locali.

Gli esperti, però, non sono del tutto d’accordo: a loro dire, sburocratizzare serve a poco se chi deve affidare i lavori non ha le competenze per gestirli.

Aumento dei costi

La guerra russo-ucraina ha accelerato l’impennata dell’inflazione già innescata dalla ripresa post Covid. I prezzi troppo alti hanno spesso reso impossibile aggiudicare appalti con basi d’asta ormai superate.

Nel 2022 il Decreto Aiuti e i successivi emendamenti hanno tentato di arginare il problema stanziando 10 miliardi di euro per aggiornare i prezzari delle nuove gare e pagare le compensazioni per i lavori realizzati. La Legge di Bilancio 2023, inoltre, ha finanziato altri 10 miliardi suddivisi su cinque anni.

Eppure il ritmo dei versamenti procede molto lentamente e le imprese fanno fatica ad avere la liquidità necessaria. Secondo i costruttori “con questo ritmo aspetteranno ancora anni prima di essere ristorate, con tutto ciò che ne consegue sul rischio di un imminente blocco delle opere in esecuzione”.

Cambio della governance

Nell’ultimo decreto PNRR il Governo Meloni ha modificato la governance del Piano e ha spostato la regia dal servizio centrale per il PNRR presso il Mef verso una nuova struttura di missione con quattro direzioni generali a Palazzo Chigi.

La rendicontazione all’Unione Europea resta a carico del Mef, ma la gestione dei rapporti politici con la Commissione e la valutazione di eventuali azioni correttive nei confronti delle amministrazioni viene affidata al Dipartimento per le politiche europee della presidenza del Consiglio.

Le conseguenze possibili

L’Italia è il Paese europeo che ha diritto ai maggiori fondi, circa 191,5 miliardi di euro. Rinunciare a una parte delle risorse comprometterebbe anche i rapporti con l’Europa e peserebbe su qualsiasi altra futura interlocuzione sulla possibilità di condividere il debito tra gli Stati membri.

La flessibilità chiesta dal Premier Meloni rispetto agli obiettivi del PNRR è già prevista dalla stessa Commissione UE. Si tratta solo di negoziarla garantendo le riforme, la correttezza dei progetti e delle procedure per attuarli.

Il Presidente del Consiglio ai microfoni di AGI fa sapere così che Non prendo in considerazione l’ipotesi di perdere le risorse del PNRR, prendo in considerazione l’ipotesi di farlo arrivare a terra in maniera efficace. Complessivamente il clima di collaborazione con l’Ue è un ottimo clima”.

E conclude: Non sono preoccupata dai ritardi sul PNRR, stiamo lavorando molto, non mi convince molto la ricostruzione allarmista degli ultimi giorni”.

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