Potenziare la filiera delle costruzioni aiuterebbe a ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dall’estero, con significativi risparmi in bolletta
Se aumentassimo di 2 classi energetiche il nostro patrimonio immobiliare sarebbe possibile abbassare del 40% i costi in bolletta di una singola famiglia. Tradotto, si parla di un risparmio annuale di 1.067 euro rispetto alle spese del 2022.
Per arrivare a questi risultati è necessario dare nuovo impulso alla filiera delle costruzioni, affrontando una delle sfide che caratterizzano il settore negli ultimi tempi: la riqualificazione. I dati presentati nel rapporto “Il valore dell’abitare” redatto da CRESME, Fondazione Symbola, Assimpredil ANCE e European Climate Foundation mostrano infatti quanto è stretto il legame che unisce edilizia e indipendenza energetica.
L’Italia non è energeticamente autosufficiente e questo ha portato a diverse fasi di stress economico e inflativo. Secondo Eurostat, considerando tutte le fonti energetiche, nel 2022 la domanda interna di energia è stata soddisfatta per il 76,2% dalle importazioni.
Rispetto ai consumi, il settore residenziale utilizza il 27% dell’energia finale ed è un peso non indifferente sulla spesa delle famiglie italiane. Per diminuire il fabbisogno energetico, quindi, occorre innanzitutto pensare al comparto delle costruzioni.
I numeri dell’Italia
Intervenire sul patrimonio edilizio implica un’opera complessiva di decarbonizzazione, anche in vista degli obiettivi fissati dalla Direttiva Case Green. Infatti, il 72% del parco residenziale italiano è stato realizzato prima del 1980 e oggi ha superato i 40 anni. Il 68,5% delle abitazioni, poi, si trova in una delle classi energetiche inferiori, ovvero E, F e G.
Ai dati sull’anzianità degli edifici, occorre aggiungere anche quelli relativi al numero delle abitazioni. Il report di CRESME e Fondazione Symbola parla chiaro: con 599 abitazioni ogni 1.000 cittadini, l’Italia è il primo Paese in Europa per numero di case e supera la media europea di 506 ogni 1.000 persone.
L’obiettivo presentato nel rapporto prevede di abbassare il consumo medio del parco edilizio del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Secondo le stime, ogni miliardo di euro di investimenti in costruzioni produrrebbe un valore aggiunto di un 1,1 miliardi.
Già nel 2022 una larga parte delle spese edilizie è stata impiegata per la manutenzione straordinaria e ordinaria del patrimonio esistente. Efficientamento energetico, ristrutturazioni, ammodernamento, messa in sicurezza, riparazioni e sostituzioni di parti hanno assorbito circa 223,4 miliardi di euro. Di questa somma, la riqualificazione energetica ha ricevuto circa 120 miliardi di euro.
CRESME e Fondazione Symbola commentano così il dato: “È chiaro che la partita delle costruzioni in Italia, in particolare sul piano dell’efficientamento energetico e della riduzione della CO2, si gioca sul piano della riqualificazione; in pratica il mercato si è già sostanzialmente spostato occorre quindi finalizzare meglio le performance degli interventi. A questa situazione hanno certo contribuito sia dinamiche naturali del mercato, sia gli incentivi che dal 1998 hanno caratterizzato la politica italiana”.
Il ruolo dei bonus edilizi
Migliorare le classi energetiche fa salire il valore dell’immobile. Una casa ristrutturata vale in media il 44,3% in più di una casa da ristrutturare. La percentuale arriva al 50,8% fuori dalle aree metropolitane non turistiche; nelle periferie e nei dintorni delle aree metropolitane, invece, le case ristrutturate valgono il 40,5% in più.
Grande impatto hanno avuto in quest’ambito gli incentivi fiscali. Le detrazioni per il recupero edilizio, dal 1998, e quelle per la riqualificazione energetica, dal 2007, sono state nel tempo oggetto di numerose proroghe e modifiche che ne hanno adattato i campi di applicazione.
Come si legge nel report, la componente di lavori incentivati sul totale degli investimenti nell’edilizia residenziale è cresciuta nel tempo con l’introduzione di nuove agevolazioni. Dal 1998 al 2006 era disponibile solo il Bonus Casa, dal 2007 si è aggiunto l’Ecobonus; poi il Sismabonus dal 2017 e dal 2020 il Bonus Facciate e, soprattutto, il Superbonus.
Soprattutto negli anni 2020-2023, il rinnovo del parco edilizio italiano si è inserito in un contesto particolarmente favorevole. Ad essere in gioco sono stati diversi fattori, che CRESME e Fondazione Symbola indicano così:
- la condizione del patrimonio immobiliare, vecchio e vulnerabile: il 72% degli edifici ha più di 43 anni; il 53% delle case si trova in zone a medio ed elevato rischio sismico; il 14% a rischio frane e il 15% a rischio alluvioni;
- l’accelerazione dei mutamenti di carattere estetico;
- i mutamenti delle caratteristiche demografiche dei nuclei abitanti.
- l’accelerazione dell’accumulo di risparmio delle famiglie a partire dal 2020;
- la nuova percezione dei bisogni abitativi emersa nell’anno del Covid;
- la dimensione dell’aiuto pubblico e l’alternativa alla detrazione fiscale del possessore.
Allo stato attuale, serve comunque riflettere sulla forma di sussidio più adatta alla domanda che ci si aspetta nei prossimi anni. Un po’ perché occorre confrontarsi con la Direttiva Case Green (e il nostro Governo sembra già al lavoro in merito) e un po’ perché, come evidenzia il report, le voci “messa in sicurezza” ed “efficienza energetica” non adesso sono ai primi posti tra le priorità dei cittadini e necessitano di una spinta economica.
Fonti:
- Fondazione Symbola, “Il valore dell’abitare. La sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano – Comunicato stampa”;
- Teknoring, “Come abbattere le bollette del 40% con la riqualificazione energetica?” di Roberto Di Sanzo;
- MilanoToday, “Il valore dell’abitare, la sfida della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio italiano”.