Nunzio Gabriele Sciveres

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Nunzio Gabriele Sciveres, 34 anni, divide il suo lavoro tra Milano e Vittoria (RG). Ha conseguito la laurea in architettura presso il Politecnico di Milano.
Ha già vinto numerosi premi:
primo premio all’opera prima Quadranti d’Architettura G.B. Vaccarini 2010;
selezione Giarch 2011 Atlante Giovani Architetti italiani;
finalista del Premio Medaglia d’Oro all’Architettura Italiana 2012;
finalista di A.Prize 2012;
primo premio Architettura Oggi 2012;
premio NIB 2013;
finalista del Premio Ugo Rivolta 2013;
primo premio internazionale Barbara Cappochin 2013;
finalista premio Razstava Piranesi 2013.

Che cosa significa vivere questa professione a Ragusa? E a Milano o in qualunque altra città hai lavorato? Che differenze ha trovato?
Ho una sorta di studio ambulante tra Vittoria e Milano, lavoro così da ormai quattro anni e finora la cosa ha funzionato…
A Milano come in Sicilia l’architettura è considerata dai più come un accessorio. “Se ne può fare a meno” pensano. Ho notato però che in Sicilia c’è ancora, almeno in certi ambienti, più rispetto per la figura dell’architetto.

Qual è il progetto della tua carriera di cui sei, al momento, più soddisfatto?
E’ A2M Social Housing, un progetto al quale ho dedicato tanto tempo ed energie.
Si tratta di 25 case unifamiliari a Marina di Ragusa dove abbiamo puntato alla qualità dell’abitare cercando di non saturare il lotto, di evitare la ripetizione indifferenziata della stessa tipologia abitativa e di non favorire il cemento al posto del verde.
L’idea era di dare un contributo concreto – massimo design per minimo costo – al social housing in Sicilia. E, per fare ciò, abbiamo cercato di capire quali fossero le strategie adeguate a una vita socialmente attiva per la comunità dei residenti.

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In cosa è differente lo sguardo di un giovane architetto da quello dei suoi maestri?
Fare l’architetto è un mestiere molto difficile oggi come ieri.
Ciò che fai è giudicato da tutti. Un libro puoi decidere di leggerlo o meno e un film di guardarlo. Ma un edificio si impone, indipendentemente dalla tua volontà. Per di più, tutto ciò che si costruisce rimane nel tempo.

Hai un modello a cui fai riferimento? Ci indichi un architetto non più in vita e uno ancora in vita che ti piacciono particolarmente e perché?
Ho trascorso cinque anni nello studio di Maria Giuseppina Grasso Cannizzo. Mi ha messo a disposizione il suo studio e la sua esperienza. Lavorando con lei ho acquisito un metodo che all’università non avevo ancora imparato.
Mi piace molto Franco Albini.

Quanto è importante l’attenzione per la cura dell’ambiente nel tuo lavoro di progettazione? E come si sposa l’attenzione per l’ambiente con l’innovazione nei tuoi progetti?
Penso che ogni opera di buona architettura debba fare i conti con ciò che le sta intorno.
A volte è più facile lavorare in sintonia con un luogo e con i suoi materiali e si preferisce partire da lì, ma sono convinto che non debba essere necessariamente una regola.

 

Quali sono i materiali “tradizionali” che secondo te hanno più potenzialità guardando al futuro dell’architettura, mi riferisco all’ambito del benessere abitativo e della salubrità degli ambienti in
genere?

E’ essenziale prima di tutto mettere a fuoco l’intervento, i materiali vengono fuori da soli.
Non ho le idee così chiare in tal senso.

In fase di creazione/progettazione per te c’è una dicotomia tra estetica e funzionalità, o le cose camminano di pari passo?
Le cose dovrebbero camminare di pari passo, dovrebbe prevalere sempre il buon senso a mio avviso.

Quanto credi sia utile la collaborazione tra progettista e aziende produttrici nell’ambito dell’ottimizzazione dei materiali adatti a realizzare nuove costruzioni o ristrutturazioni di immobili a latitudini “critiche” come quelle siciliane?
E’ molto importante stabilire delle sinergie tra le aziende e i singoli professionisti.
Il nostro lavoro coinvolge tutti, ha una funzione sociale importante e non paga camminare da soli.

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