Salvatore Di Dio

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Salvatore (detto Toti) Di Dio, 30 anni, vive e lavora a Palermo. Ha studiato Ingegneria edile-architettura tra Palermo e Porto (Portogallo), ha frequentato il master Casaclima della Libera Università di Bolzano ed è stato visiting student al Senseable City Lab del DUSP del MIT. Oggi è dottorando in Fisica Tecnica all’Università di Palermo, con una tesi dal titolo “The lean urban design”.
Nel 2013 ha vinto il primo premio “AAA Architetti Cercasi” e ricevuto una menzione speciale al “Rethink Athens”, nel 2012 per lo “Smart City and Communities and Social Innovation”, nel 2010 per “Recupero urbano area antistante il complesso della chiesa della Badia – Canicattì” e il primo premio “Riqualificazione energetica Istituto professionale per i servizi alberghieri IPSSAR Zegna a Cavaglià”.
E’ fondatore e direttore creativo di PUSH e fondatore e project manager di Inés Bajardi.

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Che cosa significa vivere questa professione a Palermo? In generale pensi che la Sicilia sia il posto giusto per il lavoro di un giovane architetto come te?
Oggi, con una buona idea non esistono posti giusti o sbagliati, esistono contesti che possono favorire e accelerare un certo tipo di processi. Lavorare in Sicilia è come allenarsi ad alta quota: è più difficile, spesso estenuante, ma prima o poi, ne sono certo, in qualche modo farà la differenza.

Qual è il progetto della tua carriera di cui sei, al momento, più soddisfatto?
Quello che amo del mio mestiere è costruire tutto quel complesso sistema di rapporti che rende i progetti vivi e li fa muovere. Dare corpo e forma alle idee è la cosa più emozionante. Che sia urbanistica, architettura, design o servizi poco cambia: amo i progetti che affrontano la realtà e con onestà provano a trasformarla. In questa logica il lavoro fatto per la Soprintendenza del Mare è quello che credo si sia avvicinato di più all’obiettivo.

In cosa è differente lo sguardo di un giovane architetto da quello dei suoi maestri?
Oggi lo spazio urbano è fermo e immodificabile. Negli ultimi 50 anni anni si è costruito in modo scriteriato, insostenibile. Oggi noi abbiamo un’enorme responsabilità nei confronti delle future generazioni.
Il professore Provenzano durante una lezione ci fece notare come “spazio” e “speranza” abbiano la stessa radice etimologica. La mia generazione deve riuscire a costruire speranza.

 

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Hai un modello a cui fai riferimento? Ci indichi un architetto non più in vita e uno ancora in vita che ti piacciono particolarmente e perché?
Mio modello di riferimento è sempre stata la mia famiglia e mio padre. Sarei felice se solo avessi un centesimo della sua curiosità, determiazione e della sua incredibile vivacità intellettuale. Nel mondo dell’architettura mi hanno sempre affascinato i personaggi epici alla Kahn, alla Wright, alla Fuller. Ho avuto poi la grande fortuna di studiare e lavorare con grandi professionisti, in Italia, Portogallo e USA. Il team di progetto di Gianluca Peluffo è sicuramente quello che ricordo con più affetto.

Quanto è importante l’attenzione per la cura dell’ambiente nel tuo lavoro di progettazione?
Onestamente vorrei che si parlasse meno di ambiente. L’ambiente è e deve essere la chiave di ogni approccio progettuale. E’ contesto e risorsa, è l’unico vero luogo di creatività. Parlare di ambiente, della sua tutela e della sua valorizzazione deve essere un argomento assodato, alla base di ogni tipo di azione sul territorio.

E come si sposa l’attenzione per l’ambiente con l’innovazione nei tuoi progetti?
In ogni progetto provo sempre a utilizzare nel modo più efficace le risorse naturali presenti nell’ambiente. Innovazione significa riuscire a fare di più con meno.

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Quali sono i materiali “tradizionali” che secondo te hanno più potenzialità guardando al futuro dell’architettura, mi riferisco all’ambito del benessere abitativo e della salubrità degli ambienti in genere?
I materiali naturali che non abbiano subito troppi trattamenti per permetterne la commercializzazione, materiali con un basso LCA e che possano essere smaltiti senza troppi danni.

In fase di creazione/progettazione per te c’è una dicotomia tra estetica e funzionalità, o le cose camminano di pari passo?
Citando Bucky Fuller “Io penso solo a come risolvere il problema. Ma quando ho finito, se la soluzione non è bella, so che è sbagliata.”

Quanto credi sia utile la collaborazione tra progettista e aziende produttrici nell’ambito dell’ottimizzazione dei materiali adatti a realizzare nuove costruzioni o ristrutturazioni di immobili a latitudini “critiche” come quelle siciliane?
Lavorare in armonia e ottenere risultati ambiziosi è il sogno di qualsiasi gruppo di progetto a qualsiasi latitudine. Quando succede, e succede anche in Sicilia, è un bellissimo miracolo.

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Foto credit: le foto dell’allestimento per la soprintendenza del mare sono di Ernesta Caviola, la foto in studio è di Luca Savettiere.

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