Sempre di più gli immobili disabitati: un problema che fa i conti con il consumo di suolo e l’impossibilità di recuperare molti edifici
Per ISTAT e CESCAT, due dei più importanti centri nazionali di produzione di statistica, il 6% del patrimonio immobiliare italiano si sta avviando a diventare rovina e sono quasi due milioni le case disabitate.
Allo stesso tempo, l’insieme delle aree industriali dismesse, considerando sia i terreni annessi che i piani calpestabili, copre da sola il 3% del territorio nazionale: una superficie pari a quasi 9.000 kmq, paragonabile all’intera Umbria.
A confermare quest’ultimo dato è l’Associazione Culturale Ascosi Lasciti, che cita una precedente ricerca proprio dell’ISTAT – rimossa però dagli archivi online. L’Istituto aveva già notato nel 2020 che le strutture inutilizzate ammontavano a 7 milioni, con poco meno della metà corrispondente a seconde abitazioni.
Casolari, baite, case cantoniere, caserme, teatri, stazioni e ospedali: si tratta soprattutto di edifici situati in periferia, nelle zone di campagna, collina e montagna. Nelle aree sovra-urbanizzate, infatti, il degrado urbano tende a diminuire, ma la media resta alta e corrisponde a circa un’abitazione abbandonata ogni dieci.
A ben guardare, il problema interessa un po’ tutta l’Europa: la Commissione UE ha annunciato l’intenzione di avviare una serie di ristrutturazioni nell’ambito del Green Deal europeo, che dovrebbe anche accompagnarsi a una maggiore tutela nel consumo di suolo.
Un Paese diroccato da Nord a Sud
L’Italia di oggi conta meno abitanti rispetto a due anni fa, diretta conseguenza della pandemia, ma trovare una casa ancora salubre e in buone condizioni, da poter abitare senza rischi per la salute, sta diventando sempre più difficile.
L’abbandono di edifici privati e commerciali è un segnale di crisi con gravi ripercussioni nel tessuto sociale ed economico di una comunità. Non di rado, infatti, il numero di case vuote va di pari passo con l’aumento del tasso di criminalità e disoccupazione.
Una triste dinamica che si alimenta da sé e che si presenta allo stesso tempo come causa e conseguenza della diminuzione delle opportunità per i cittadini e le imprese, proprio perché comporta anche un crollo nel valore degli immobili.
Ancora l’ISTAT dichiara che oltre 50 mila degli edifici abbandonati nel nostro Paese sarebbero antichi palazzi storici e castelli nobiliari. A questi si aggiungono altre 20 mila strutture religiose cadute in disuso. Resta invece indefinito il numero degli impianti pubblici di grande metratura, come ex ospedali e sanatori mai recuperati.
Non ci sono differenze sostanziali tra Nord e Sud: nonostante il Mezzogiorno sembri più colpito, ogni regione in realtà presenta diffusi fenomeni di degrado urbano. Huffpost ha individuato persino 6.000 km di ferrovie inutilizzate, affiancate da 1.900 stazioni fatiscenti.
Da un altro canto, invece, Legambiente pone l’accento sui paesi fantasma, circa 5.300 in totale. Di questi, 2.300 sono in stato avanzato di degrado urbano e i rimanenti sono già completamente spopolati.
Possibili soluzioni e prospettive sostenibili
Demolire non rappresenta la strada migliore da percorrere. Basti pensare che solo nel 2021 l’Europa ha generato circa 500 milioni di tonnellate di rifiuti edili. Anche quando si tratta di materiali riciclabili o riutilizzabili, infatti, i detriti da costruzione e demolizione finiscono in gran parte nelle discariche.
Per iniziare a contenere la produzione degli scarti sarebbe opportuno costruire rispettando i principi di circolarità e sostenibilità. La fase di progettazione degli edifici richiede adesso un’attenzione maggiore, con un focus sul ciclo di vita delle strutture stesse e sulla possibilità di recupero una volta arrivate alla fine.
La demolizione comporta rischi e problemi non solo all’ambiente, ma anche agli abitanti delle zone circostanti l’edificio abbattuto. Al contrario, decostruire con gru demolitrici o persino con gli esplosivi permette di recuperare il 25% del materiale destinato alla discarica ed è un modus operandi meno invasivo.
Il risparmio è notevole: con livelli di riciclo del 70% si recupererebbero più di 23 milioni di tonnellate di materiali, pari alla produzione di almeno cento cave di sabbia e ghiaia in un anno.
Allo stesso tempo nuove tecnologie e nuovi format architettonici in urbanistica consentono un recupero intelligente degli edifici. si ricordano ad esempio tutti i progetti che si muovono nell’ambito di coworking, co-living, social housing e senior housing, o ancora alla diffusione del modello degli smart villages per contrastare l’abbandono dei piccoli borghi.
Le attività messe in campo puntano tutte a far nascere, o rinascere, comunità attive e dinamiche, dando maggiore sviluppo all’integrazione. Un buon impulso in tal senso è stato dato dal Superbonus, che ha favorito e continua a promuovere la rigenerazione urbana a scapito di un incontrollato consumo del suolo.
Asfalto e cemento ricoprono il terreno naturale ad un ritmo impressionante, per cui se da un lato non è possibile recuperare gli edifici più obsoleti, dall’altro è difficile riuscire a costruirne di nuovi.
È il paradosso del caso italiano: i senzatetto, infatti, sono oltre 50 mila e il 25% della popolazione vive in appartamenti sovraffollati; eppure le case inabitate sono centinaia di migliaia.
I dati finora non sono incoraggianti, bisogna ammetterlo, ma l’Italia resta fiduciosa ed è intenzionata a fare i conti con il degrado urbano che la caratterizza. Migliorare è possibile e il futuro passa per l’economia circolare.