
La durabilità del calcestruzzo in prossimità del mare è una sfida tecnica, progettuale e gestionale, che va dalla scelta dei materiali alla manutenzione dell’opera
La corrosione del calcestruzzo ad opera della salsedine rappresenta una delle principali problematiche per il patrimonio edilizio delle zone costiere. I cloruri presenti nell’acqua marina e nell’aria salmastra penetrano nei materiali e ne accelerano il degrado, con effetti potenzialmente rilevanti sulla stabilità e sulla sicurezza delle strutture.
La normativa tecnica (UNI EN 1504) distingue le condizioni di esposizione del calcestruzzo armato in base al contatto con l’ambiente marino. Le categorie principali sono tre:
- XS1, strutture esposte all’aria marina ma non al contatto diretto con l’acqua: la corrosione è legata alla deposizione dei sali trasportati dall’aerosol salino;
- XS2, strutture soggette a spruzzi d’acqua marina o immersioni intermittenti: il rischio aumenta per l’alternanza tra cicli di asciutto e bagnato, come nel caso di scogliere e moli;
- XS3, strutture immerse stabilmente: è il contesto più critico, dove l’attacco da parte dei cloruri è continuo e aggressivo.
Per ciascuna di queste condizioni è richiesta una progettazione mirata, che preveda l’utilizzo di calcestruzzi a bassa permeabilità, copriferri adeguati e materiali resistenti.
Indice
- I meccanismi di degrado: come la salsedine colpisce il calcestruzzo
- Prevenzione e strategie di protezione
- Tecniche di ripristino delle strutture degradate
I meccanismi di degrado: come la salsedine colpisce il calcestruzzo
Il cloruro di sodio (NaCl) è il principale responsabile dei fenomeni corrosivi in ambiente marino e il suo effetto può manifestarsi secondo due modalità.
Nel primo caso, l’interazione avviene direttamente con la matrice cementizia: i cloruri sottraggono calcio al silicato di calcio idrato, indebolendo il legante, aumentando la porosità e favorendo nuove infiltrazioni.
Nel secondo, i cloruri raggiungono le armature in acciaio, distruggendo lo strato di passivazione che le protegge. Ciò innesca la formazione di ruggine, che aumenta di volume e causa fessurazioni, distacco del copriferro e una progressiva perdita di integrità strutturale.
Trascurare queste dinamiche può portare a danni estesi, con costi elevati per la manutenzione. Nei casi più gravi, si prevedono persino interventi di demolizione e ricostruzione.
Altri fattori che accelerano la corrosione
Oltre ai cloruri, l’intensità e la velocità dei processi corrosivi sono influenzati anche da questi fattori:
- la distanza dalla costa: gli edifici più vulnerabili sono quelli realizzati entro 5 km dal mare, ma il fenomeno può estendersi anche più all’interno, specie in presenza di venti carichi di aerosol salino;
- l’assenza di barriere protettive: pinete, dune ed edifici più alti possono mitigare il fenomeno;
- la qualità del calcestruzzo: miscele poco idonee, altamente porose o poco stagionate aumentano il rischio;
- le condizioni climatiche: l’umidità e l’escursione termica accelerano i processi chimici alla base della corrosione.

Prevenzione e strategie di protezione
La prevenzione comincia dalla progettazione. La scelta dei materiali è decisiva: il consiglio è quello di impiegare cementi pozzolanici o d’altoforno, resistenti ai cloruri, e garantire una corretta compattazione della miscela. Dove possibile, è preferibile l’impiego di armature in acciaio zincato o inox.
Altro elemento cruciale è lo spessore del copriferro. Maggiore è la distanza tra armatura e superficie esterna, minore sarà la penetrazione dei cloruri. In genere, si raccomanda uno spessore minimo di 45 mm per il calcestruzzo armato ordinario e di almeno 55 mm per quello precompresso.
Anche la protezione della superficie può fare la differenza. Applicare impermeabilizzanti come LongLife Concrete, ad esempio, contribuisce a ridurre l’assorbimento capillare del calcestruzzo senza compromettere la traspirabilità.
Infine, è essenziale un piano di manutenzione. Pulire e ispezionare le superfici, così come riparare per tempo le fessure, se compiuti con regolarità, sono interventi efficaci per mantenere in buona salute la struttura.
Tecniche di ripristino delle strutture degradate
Quando il danno è già presente, è possibile intervenire attraverso specifiche tecniche di ripristino. Si comincia con la rimozione delle zone ammalorate, fino a raggiungere il calcestruzzo sano. Le armature scoperte vanno trattate meccanicamente (con sabbiatura o spazzolatura) e protette con passivanti specifici.
Successivamente, si procede con la ricostruzione del copriferro con malte da ripristino a ritiro compensato, formulate per ambienti contaminati da cloruri. Questi prodotti devono garantire elevate prestazioni meccaniche e bassa permeabilità.
Infine, è prevista l’applicazione di rivestimenti protettivi in grado di impedire nuove infiltrazioni e prolungare la vita utile dell’opera.
L’intero processo di risanamento deve essere progettato per consentire alla struttura di resistere nel tempo a nuove sollecitazioni ambientali. Una gestione consapevole è infatti la chiave per preservare la durabilità e la sicurezza del calcestruzzo in ambiente marino.
Fonti:
- EdilPortale, “Costruire vicino al mare: come proteggere il calcestruzzo dalla corrosione” di Rossella di Gregorio;
- Ingenio, “Strutture sommerse in calcestruzzo: corrosione armature indotta dai cloruri da acqua di mare” di Francesco Colella, Flavia Fascia e Renato Iovino
- Ingenio, “Corrosione del Calcestruzzo Armato in Ambiente Marino: un nuovo approccio per la Modellazione”
- Lavoriincasa.it, “Prevenire e combattere la corrosione da salsedine nelle case al mare” di Arch. Elena Matteuzzi.






