Dario Raguzzino, 37 anni, vive e lavora a Napoli dove nel 2005 fonda con Adele Spiezie e Fabrizio Contesa lo studio LAB.I.R.INT. Architettura. Già da studente vive alcune esperienze formative all’estero fra cui quella a Reading (GB) presso la Foster Wheeler Società multinazionale di ingegneria. Nel 2001 si laurea presso l’Università Federico II di Napoli, Vince il primo Premio Giovani Architetti organizzato dall’Ordine degli Architetti di Napoli nella sezione Comune di San Paolo Belsito. Partecipa alla mostra ECCOSCUOLA presso il SESV di Firenze, con il progetto di un edificio scolastico ecocompatibile a Bagno a Ripoli (FI). Vince con L’ATP capogruppo PCA int. srl la gara per la progettazione di un campus scolastico a Camerino (MC). E’ selezionato, con il progetto di un cinema multi sala al Primo Festival dell’Architettura di Parma nella sezione i luoghi della notte; a seguito della selezione del proprio gruppo partecipa alle fasi finali di diversi concorsi di progettazione come quello per la riqualificazione del quartiere Gabelluccia a Crotone e quello per la riqualificazione del Rione De Gasperi a Napoli. Nel 2014 partecipa alla quinta edizione del premio “La Convivialità Urbana” aggiudicandosi il terzo posto con un progetto di riqualificazione del lungomare di Napoli.
C’è un luogo più di altri che consideri ideale per la realizzazione della tua professione? Quale e perché?
Non ritengo che esista un luogo ideale per la mia realizzazione professionale in quanto sono convinto che la professione oggi debba essere affrontata scrutando oltre i confini fisici del luogo di produzione delle idee. Ritengo invece sia molto importante viaggiare per confrontarsi con esperienze e culture diverse in modo da poter espandere i propri orizzonti e la propria visione culturale.
Qual è il rapporto con la tua terra d’origine dal punto di vista lavorativo?
Il mio rapporto con Napoli è molto profondo e genera in me sentimenti contrastanti: sono convinto che non sia necessario fuggire dal sud Italia per poter affrontare la professione in modo stimolante, anzi credo che la mia città possa donarmi importantissimi spunti sia di tipo culturale che sociale necessari alla crescita intellettuale e professionale. Allo stesso tempo non posso che constatare che Napoli è una città difficile, in cui la cultura dell’architettura non è radicata, ed in cui ogni giorno la normale attività professionale è ostacolata da mille contrattempi che nulla hanno a che fare con la professione. In una chiave profondamente ottimistica, vivo questo contrasto come un ulteriore stimolo a fare di più ed a farlo meglio, nel tentativo di contribuire ad una sana evoluzione culturale del mio territorio.
Quanto conta lo sguardo del cliente nelle tue progettazioni? Che tipo di relazione si instaura tra voi?
All’inizio di ogni nuovo incarico, in primo luogo mi faccio raccontare dal mio committente cosa vorrebbe, invitandolo a non riferirsi in modo specifico alla realtà in cui dovremo operare. In tal modo miro a comprendere la scala di priorità di colui che dovrà realmente vivere lo spazio.
Ritengo che non ci siano scelte sbagliate o giuste in modo assoluto, ma che a seconda delle specifiche esigenze sia opportuno assecondare e sviluppare alcuni aspetti piuttosto che altri. In questa logica “lo sguardo del cliente nelle mie progettazioni ” assume un’importanza fondamentale per ottenere il risultato giusto per il cliente stesso. Il mio obiettivo è quello di instaurare un rapporto col cliente di rispetto reciproco puntando a consolidare la fiducia da lui riposta nei confronti della mia professionalità.
Quali sono gli ingredienti essenziali per la buona riuscita di un progetto?
Gli ingredienti principali a mio parere sono due: la professionalità del progettista e la disponibilità del committente a riporre la propria fiducia nel professionista da lui scelto. Sono solo un corollario le scelte specifiche che, come dicevo prima, possono variare a seconda delle esigenze senza per questo compromettere la qualità del risultato finale.
Nell’ambito della professionalità del progettista sicuramente riveste un ruolo importante l’analisi dei vincoli e delle condizioni al contorno che contribuisce all’ideazione di un progetto unico e irripetibile.
Quanto è importante l’attenzione per il rispetto dell’autenticità culturale del luogo nel tuo lavoro di progettazione?
Sono fermamente convinto del ruolo sociale che riveste l’architettura, ruolo sociale che impone ai progettisti un attento confronto con il contesto al fine di evitare la genesi di architetture completamente slegate dal contesto stesso. L’atteggiamento nei confronti dell’identità culturale di un luogo deve essere sempre di rispetto. Tale rispetto non deve però necessariamente portare ad una mimesi della nuova architettura con i luoghi su cui insisterà. A seconda dei casi, proprio questo atteggiamento rispettoso può portare ad ideare un’architettura discreta ed integrata, o evidente e dominante.
Che momento vive l’Architettura in Italia?
Secondo me in Italia la cultura dell’architettura è il più delle volte messa da parte a favore di altri interessi di diverso genere. Il ruolo sociale che tale disciplina potrebbe rivestire, il più delle volte non è compreso dal cittadino medio e sono rarissimi i casi in cui committenti illuminati investono in tal senso. Ad aggravare la situazione è il sistema normativo, che imbriglia il processo edilizio in un mare di vincoli il cui fine non è certo quello di ottenere un risultato di qualità. In questo scenario l’Architettura trova terreno poco fertile e molti professionisti, per forza di cose, si ritrovano nell’attività quotidiana a svolgere mansioni che nulla hanno a che fare con un discorso culturale. Tale condizione purtroppo crea una grande discriminazione professionale che favorisce i più dotati di caparbia, di doti relazionali e qualche volta di fortuna; doti queste importanti, ma che non necessariamente vanno di pari passo con creatività e sensibilità nei confronti della qualità dell’architettura. Per questo motivo, a mio parere, quotidianamente la società intera perde occasioni di valorizzare menti che potrebbero contribuire al miglioramento sociale e culturale del nostro paese.
Quali sono i materiali “tradizionali” che secondo te hanno più potenzialità guardando al futuro dell’architettura, mi riferisco all’ambito del benessere abitativo e della salubrità degli ambienti in genere?
Nella mia attività mi trovo spesso a confrontarmi con strutture esistenti, spesso antiche, realizzate secondo delle logiche che non sempre si sposano con le odierne esigenze funzionali. Diverse volte le esigenze di spazio rendono necessaria la riqualificazione di ambienti insalubri. L’uso di materiali della tradizione in tali circostanze, assume un valore molto significativo. Il patrimonio edilizio esistente se deve essere conservato, deve necessariamente anche essere rispettato. Così a garanzia del benessere abitativo vanno utilizzati prodotti per le finiture murarie compatibili con i supporti, che garantiscano che le murature traspirino: intonaci macroporosi a base di prodotti naturali, pannelli isolanti in fibre naturali, pitture traspiranti, infissi in legno. Naturalmente tutto questo si deve sposare con logiche di ventilazione degli ambienti a garanzia di corretto ricambio d’aria. Tali logiche, già radicate nella tecnologia della costruzione tradizionale, a mio parere vanno rispettate anche per le nuove costruzioni: l’utilizzo di elementi di tamponamento a grande inerzia termica , traspiranti, abbinati alle finiture su descritte, a sistemi di serramenti che non isolino completamente gli ambienti interni, ed a sistemi di ventilazione preferibilmente naturale rimangono una garanzia per la salubrità degli ambienti. In definitiva i materiali “tradizionali” che sarebbe opportuno utilizzare per una architettura di qualità sono: i laterizi, i materiali lapidei, gli intonaci e pitture a base di calce, il legno sia per la produzione dei serramenti che di pannelli isolanti, pavimentazioni e strutture, conglomerati isolanti a base di argille e pomice ed in genere i sistemi di isolamento termico con pannelli in fibre naturali.
Possedere un background formativo vario e possibilmente con esperienze all’estero, quanto è importante per un architetto contemporaneo?
La conoscenza di realtà diverse favorisce l’apertura mentale. Tale apertura è fondamentale per consentire all’architetto di rispondere a committenti sempre più esigenti, di confrontarsi con realtà multietniche e di poter aprire la propria attività a contesti lontani dal luogo di produzione delle idee.
Parlando di nuove generazioni di architetti, cosa sarebbe consigliabile: apprendere il mestiere del costruire frequentando il cantiere e successivamente applicarsi al lavoro in studio o viceversa?
A mio parere le due attività devono andare di pari passo. La conoscenza delle dinamiche di cantiere è essenziale per una corretta progettazione; così un approfondito lavoro in studio è fondamentale per consentire un corretto andamento del cantiere. Un giovane architetto in un primo momento della propria attività professionale dovrebbe avere la possibilità di affiancare i due aspetti, anche solo come osservatore, al fine di diventare padrone del mestiere per poi eventualmente scegliere quale delle due strade seguire.
Qual è il prossimo progetto, il sogno nel cassetto, l’aspirazione più grande?
L’aspirazione più grande è quella di poter contribuire con la mia attività professionale alla crescita culturale e sociale dei luoghi in cui opero. In questa logica, oltre all’attività quotidiana, riveste un ruolo fondamentale la partecipazione a concorsi di progettazione. Questi consentono di poter affrontare le tematiche più varie e di confrontarsi con contesti diversi, approfondendo gli aspetti relativi alla ricerca e alla sperimentazione.