L’internazionalizzazione fa bene alle imprese italiane: rischi e opportunità

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L’internazionalizzazione rappresenta una soluzione concreta per risollevare il fatturato delle imprese edili italiane.

Lo dice uno studio promosso da SACE sulla presenza delle aziende del settore costruttori nel contesto globale. La SACE costituisce, insieme a Simest, il polo dell’export e dell’internazionalizzazione del gruppo Cassa Deposito e Prestiti.
Gestisce tutti gli strumenti per il supporto alle imprese italiane che vogliono competere e crescere a livello internazionale. Vediamo nel dettaglio la sua analisi.

Il documento dal titolo “Esploratori si nasce o si diventa? Rischi e opportunità nella strategia di portafoglio dei costruttori italiani” mette in evidenza che:

  • la quota di fatturato realizzata all’estero da imprese italiane è aumentata considerevolmente. È passata da 3 miliardi di euro nel 2004 a 14 miliardi di euro nel 2016. Probabilmente anche in virtù di una fase di crisi che, a livello nazionale, non offre troppe occasioni di ripresa.
  • Le imprese italiane, però, sembrano essersi concentrate soprattutto su mercati inesplorati e periferici, tralasciano completamente Paesi più avanzati e più vicini.

In base a questa tendenza, le aziende in esame sono state suddivise in tre categorie, determinate in base alle loro scelte d’investimento:

  • Cristoforo Colombo, sono quelle che si muovono su aree ad alto rischio;
  • Amerigo Vespucci, che invece prediligono le zone a media rischiosità;
  • Giovanni Caboto, quelle aziende che, invece, scelgono territori più affidabili.

Le aziende “Cristoforo Colombo” hanno sviluppato in molti casi una leadership forte e si sono consolidati nel territorio. Spesso, però, hanno avuto grosse difficoltà e molti aumenti di spesa. In generale il loro ritorno economico è più lento e hanno un indice di operatività basso.

Nell’analisi SACE a questo proposito si legge: ” Il posizionamento delle imprese italiane del settore appare in linea con il mercato globale solo in America Latina dove, al di là del Venezuela, si stanno aprendo spazi interessanti che vanno esplorati”.

Il presidio italiano è superiore alla media in Africa e in Medio Oriente, mentre rimane al di sotto della media globale in Estremo Oriente, in Europa (UE e non-UE, anche per il peso inferiore della domanda domestica) e nell’area Nafta.”

Le imprese “Amerigo Vespucci”, invece, si muovono su mercati più stabili a rischiosità media. Hanno buone prospettive di crescita e si avvalgono di credibili piani di investimento sia pubblici che privati.
Queste aree sono “di difficile penetrabilità da parte di operatori esteri”, probabilmente anche in virtù della loro particolare storia economica e politica. Brasile, Filippine, India, Indonesia, Malaysia, Messico, Perù e Vietnam sono Stati dalle grandi potenzialità ma nei quali, per svilupparsi, si ha bisogno di un supporto da parte del sistema.

E infine troviamo i “Giovanni Caboto”, imprese che si muovono soprattutto nel settore delle infrastrutture in aree fortemente concorrenziali. Zone dove la dimensione e la struttura manageriale dell’impresa fanno davvero la differenza.
Corea del Sud, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Spagna e Stati Uniti sono Paesi ad alto reddito. Hanno sviluppato un piano di iniziative davvero concrete e realistiche, molto interessanti. Meriterebbero più attenzione da parte del nostro sistema industriale.

L’Italia però ha una difficoltà storica nel penetrare in questo genere di mercati, il motivo? Una concorrenza “domestica” molto agguerrita, una serie di blocchi d’entrata e condizioni di partecipazione spesso impossibili da rispettare per le nostre aziende.

La visione generale resta però più ottimistica, si legge su Fasi.biz, che “nonostante il rallentamento della domanda nel 2016 da parte di alcuni Paesi emergenti, che continuano ad essere caratterizzati da <un ampio deficit infrastrutturale>, la tendenza appare quella verso un <riequilibrio del mercato dal comparto residenziale a quelli non-residenziale e del genio civile>.”

I dati SACE mostrano ancora che nel 2006 il comparto residenziale copriva il 43% del totale degli investimenti. Nel 2017, invece, non esiste una differenza così netta e la richiesta estera si distribuisce tra residenziale al 35,7%, il non residenziale al 31,8% e le infrastrutture al 32,5%.

Insomma, il settore delle costruzioni rappresenta, da sempre, il traino dell’economia italiana. Lo studio dimostra infine che: “è però necessario ricalibrare la bussola verso geografie in crescita, non ancora sufficientemente presidiate e che possono diventare il baricentro <sostenibile> delle imprese che, legittimamente, ambiscono a potenziare la propria quota di ricavi internazionali.”

 

Credit Foto: JohnsonGoh

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