La prevenzione antisismica tra progressi e nuove possibilità

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Prevenzione antisismica: la facciata di un palazzo danneggiata da un terremoto
Foto di Paolo74s via Canva

Dal secolo scorso, il cammino della ricerca non si è mai fermato. Oggi, per alcuni terremoti, bastano pochi minuti per avere una stima dell’epicentro e dell’intensità

Nel 2023, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) ha registrato 16.307 terremoti sul territorio italiano. Si tratta di un sisma ogni mezz’ora circa, ma per fortuna non tutti sono tanto potenti da essere avvertiti o da causare danni.

Nell’ultimo secolo sono stati compiuti molti progressi scientifici e tecnologici nell’ambito della prevenzione antisismica. Tuttavia, è ancora impossibile distinguere le scosse premonitrici di un terremoto da quelle che rientrano nella normale attività sismica della crosta terrestre. Ciò che possiamo dire con certezza, invece, è che il numero delle vittime di questi eventi ha subito un forte calo dall’inizio del Novecento. 

L’Italia è uno dei Paesi a più alto rischio sismico in Europa. Infatti, si trova nel punto di convergenza di tre placche tettoniche che sono quelle africana, eurasiatica e adriatica. Storicamente, quindi, ci si è dotati di misure e strategie di prevenzione e il primo decreto per la messa in sicurezza dai terremoti risale al 1627. È però dopo il sisma del 1908 a Messina che la normativa antisismica si è avviata verso la strada che conosciamo e applichiamo oggi.

La prevenzione antisismica contemporanea: Messina, 1908

Quello che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908 fu uno dei terremoti più forti registrati nel nostro Paese. La notte del 28 dicembre, nell’area dello Stretto, venne registrata una scossa di magnitudo 7.2 della scala Mercalli. L’energia liberata dal sisma si riversò in mare, generando onde di tsunami: il bilancio finale fu stimato intorno alle 80 mila vittime.

Indagini successive rivelarono che gran parte dei danni fu causata da scelte progettuali sbagliate e dalla pessima qualità delle costruzioni. Soprattutto nel centro di Messina, i terreni di origine alluvionale non erano abbastanza resistenti per sopportare carichi pesanti. Molti degli edifici, infatti, avevano altezze sproporzionate e non erano sostenuti da fondazioni adeguate. Inoltre, i muri erano troppo sottili e spesso erano stati realizzati con ciottoli o mattoni tenuti insieme da cemento scarso. 

Il terremoto-maremoto messinese ebbe una portata così grande che spinse lo Stato a intraprendere le prime azioni di prevenzione. Furono così introdotti il sistema di classificazione sismica nazionale e le “norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni”, come si legge nel Regio Decreto 193 del 1909.

L’incarico di elaborare il piano urbanistico di Messina venne affidato nel 1909 all’ingegnere Luigi Borzì. Il suo progetto disegnava una città quasi del tutto nuova, con palazzi di altezza modesta, non superiore ai tre piani.

In realtà, negli Anni ‘20 e ‘30, il piano di Borzì venne sostituito dalle ispirazioni architettoniche del regime fascista. I nuovi progettisti si trovarono d’accordo con l’ingegnere messinese solo su un punto: continuare la ricerca di una tecnologia antisismica che fosse un riferimento per la normativa edilizia italiana.

Il futuro delle misure di sicurezza

Dal 1908 la normativa antisismica e le pratiche di costruzione si sono evolute e perfezionate. Basti pensare che il terremoto in Emilia-Romagna nel 2012 ha registrato 7 vittime in totale, a fronte dei numeri raggiunti a Messina all’inizio del secolo scorso.

In tutti questi anni, l’obiettivo dell’INGV è stato migliorare la sorveglianza sismica del territorio nazionale e la qualità dei monitoraggi. Oggi, per un evento sismico di magnitudo 3.0 della scala Mercalli, bastano appena 2 minuti per avere una stima della posizione dell’epicentro, della profondità e dell’intensità della scossa.

Foto di Paolo74s via Canva

Anche con tali risultati, la ricerca continua ad andare avanti. Non si può prevedere con certezza un terremoto, ma l’analisi dei segnali precursori può restituire qualche probabilità. Nello specifico, si consultano i dati satellitari, le variazioni nella pressione dei fluidi del sottosuolo, i micromovimenti delle placche e le emissioni acustiche delle profondità terrestri. 

Secondo Warner Marzocchi, studioso di modelli previsionali dei terremoti, potremmo arrivare a prevedere i terremoti attesi in una certa area, ma non la loro magnitudo. Giampiero Iaffaldano, docente di Geofisica della Terra solida all’Università di Parma, ha iniziato a identificare tramite Gps i movimenti delle placche terrestri. “Finora si sono cercati segnali precursori su faglie attive” ha dichiarato a Greenreport.it. “I nuovi studi dimostrano invece che il lento accumulo di energia modifica il moto stesso delle placche, misurabile anni prima da stazioni Gps a centinaia di chilometri di distanza da quello che sarà l’epicentro. Può essere utile nel rischio sismico”.

A queste tecnologie si aggiungono i sistemi di gestione dell’allerta, come IT-alert, i droni, la realtà virtuale e l’intelligenza artificiale. Anche se i terremoti restano fenomeni imprevedibili, l’evoluzione delle conoscenze e delle tecnologie ci permette di affrontarli con maggiore consapevolezza e sicurezza. Continuare a investire nella prevenzione e nella ricerca è la chiave per proteggere il nostro territorio e le comunità locali.

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