Vincenzo Paolo Bagnato

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Vincenzo Paolo Bagnato, 40 anni, vive e lavora a Bari, presso lo studio BDF Architetti . A Bari ha anche conseguito la laurea presso Il Politecnico, prima di spostarsi a Barcellona per un Master in “Proyectos arquitectonicos” e un Dottorato di ricerca sullo stesso tema, entrambi presso l’Escuola Tecnica Superior de Arquitectura de Barcelona.
Ha già ricevuto numerosi riconoscimenti: selezione “Ventisettetrentasette – Rassegna internazionale di giovani architetti italiani” Shanghai/Roma 2010; selezione “Giarch – Progetti di giovani architetti italiani 2011”; Menzione spediale “Premio Apula 2011”; selezione “Call for project – Pugliarch 2012 – Sezione Pugliarch City”; selezione “Call for Young Architect Talent – Pugliarch 2012”; Menzione speciale “Premio Apulia 2014”; MENZIONE SPECIALE “PREMIO INARCH 2014”;e Menzione speciale “Premio Inarch 2014”.

C’è un luogo più di altri che consideri ideale per la realizzazione della tua professione? Quale e perché?
Direi Barcellona, che è la città dove mi sono formato dopo la laurea. A Barcellona l’architettura è un attore fondamentale e imprescindibile nella definizione dell’identità culturale della città, e gli architetti hanno da un lato una grande libertà creativa, dall’altro una enorme responsabilità sociale. L’architettura catalana è sempre stata storicamente punto d’incontro e di sintesi di ricerche in campo artistico e letterario, e questo permette all’architetto contemporaneo di poter disporre oggi di una enorme quantità di imput e di stimoli per il progetto.

Hai lavorato e lavori anche in giro per l’Italia e per il mondo, ma qual è il rapporto con la tua terra d’origine?
La mia terra d’origine condiziona le mie riflessioni sul progetto. I caratteri che definiscono la cultura costruttiva della mia regione (i materiali, le forme, il clima, la luce, il paesaggio) guidano i principi ed il metodo del mio lavoro anche in altri contesti.

Quanto conta lo sguardo del cliente nelle tue progettazioni? Che tipo di relazione si instaura tra voi?
Affinché il progetto di architettura si possa realmente tradurre in una costruzione di qualità è necessario che il rapporto tra architetto e il committente si fondi sulla fiducia e sull’intesa reciproca. Noi cerchiamo di dare delle risposte al committente non tanto rispetto alle sue domande esplicite, ma rispetto ai suoi desideri inconsapevoli, sottesi o inespressi; inoltre, ritengo che il dialogo progettista/committente debba comunque rispettare da un lato l’autonomia del progetto, dall’altro la libertà d’uso dell’opera da parte del committente.

C HOUSE

Quali sono gli ingredienti essenziali per la buona riuscita di un progetto?
Il progetto è un’operazione molto complessa. Sicuramente due ingredienti fondamentali per una sua buona riuscita sono il tempo, che deve essere il tempo dell’architettura (e non quello del committente, e tanto meno quello burocratico-amministrativo), e i dispositivi di controllo del progetto che, soprattutto nella sua fase euristica, devono essere il disegno a mano libera e la costruzione di modelli in scala.

Quanto è importante l’attenzione per il rispetto dell’autenticità culturale del luogo nel tuo lavoro di progettazione?
Il rispetto dell’autenticità culturale del luogo costituisce l’essenza del mio lavoro. Si tratta però di riuscire a delineare i confini di questa autenticità, e in questo senso il progetto si può configurare come vera e propria ricerca.

Che momento vive l’Architettura in Italia?
In Italia il territorio disciplinare dell’architettura è cambiato radicalmente. Il momento storico in cui viviamo è davvero molto complesso al punto che spesso ci si chiede quale sia il vero ruolo ed il senso etico dell’architettura. Credo che la mia generazione, per formazione e per obiettivi profondamente diversa da quella che l’ha preceduta, abbia un compito molto difficile che sta proprio nella necessità di ricostruire questi confini o per lo meno di “ri-disegnarli”.

Quali sono i materiali “tradizionali” che secondo te hanno più potenzialità guardando al futuro dell’architettura, mi riferisco all’ambito del benessere abitativo e della salubrità degli ambienti in genere?
Il legno come materiale da costruzione ha già dimostrato, grazie all’incredibile innovazione tecnologica che lo ha investito negli ultimi anni, enormi potenzialità sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale ed economica, sia dal punto di vista della qualità estetico-formale. Si spera che anche la pietra o il mattone possano dare delle risposte ugualmente convincenti al problema della costruzione contemporanea, in relazione a tutti i temi che oggi sono importanti, tra i quali il benessere abitativo.

SAN GIROLAMO URBAN GARDEN

Parlando di nuove generazioni di architetti, cosa sarebbe consigliabile: apprendere il mestiere del costruire frequentando il cantiere e successivamente applicarsi al lavoro in studio o viceversa?
Io ritengo che sia necessario partire dall’esperienza di lavoro nello studio, perché la progettazione è prima di tutto un esercizio intellettuale. E’ necessario che la “cultura della costruzione” non venga confusa con il “culto della tecnologia” in cui il problema d’architettura venga sostituito dal “problema tecnico”.

Quale ti sembra l’intervento più urgente nell’attuale sistema normativo e burocratico in un’ottica di semplificazione?
Su questo tema direi che sono alquanto radicale: abolizione degli ordini professionali e abolizione dei requisiti tecnico-economici nelle gare e nei concorsi di progettazione, per ridare dignità all’architetto come individuo e al progetto come unica espressione delle capacità e delle qualità di un professionista, soprattutto se giovane.

Qual è il prossimo progetto, il sogno nel cassetto, l’aspirazione più grande?
I progetti che attualmente il mio studio ha in itinere sono un parco nel Salento e alcuni spazi pubblici a Bari. Quando vivevo a Barcellona il mio sogno era quello di costruire un edificio nella mia città. Oggi probabilmente è quello di costruire un edificio a Barcellona. Al di là di questo, sicuramente la mia aspirazione più grande è quella di riuscire a lavorare sempre mantenendo l’esperienza del progetto come azione finalizzata ad una “continua scoperta”.

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