Il rischio sismico in Sicilia tra storia e prevenzione

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Veduta di Palermo
Foto via Pixabay

Gran parte della Sicilia è dichiarata zona sismica dal 1981, eppure, ancora oggi, oltre 200 Comuni non rispettano la normativa in vigore e sono sprovvisti di un piano della Protezione Civile per fronteggiare i terremoti

Nel 2004 la Regione Siciliana ha suddiviso il territorio isolano in quattro zone sismiche, sulla base di analisi che considerano tutta una serie di fattori come gli effetti massimi attesi. In questo modo si distingue tra:

  • la Zona 1 nell’area dello Stretto di Messina e nella zona del Belice;
  • la Zona 2, che interessa quasi tutto il resto della Sicilia;
  • le Zone 3 e 4, che sono classificate a basso rischio e riguardano poche aree.

Per molto tempo, però, la mappa del rischio sismico in Sicilia è rimasta “statica” e solo nel 2022 è stata aggiornata, aumentando il numero dei comuni in Zona 1 da 27 a 53 (resta esclusa da questa fascia la città di Catania, come vedremo tra poco).

È storicamente noto che la regione sia soggetta a un allarme sismico di livello medio-alto. Basti pensare al terremoto della Val di Noto nel 1693 e a quello di Messina del 1908, entrambi con una magnitudo superiore ai 7 gradi della scala Richter.

Eppure, ad oggi, per la scarsa consapevolezza dimostrata dai tecnici nel corso degli anni, il 70% del patrimonio residenziale isolano non è conforme alle norme sismiche. A ricordarlo è il professor Ivo Caliò, docente di Scienza delle Costruzioni del Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura a Catania, che sarà tra l’altro ospite il 23 novembre 2023 del congresso “Existing building forum” su temi del rischio sismico e del restauro del costruito.

Caratteristiche del rischio sismico in Sicilia

In generale, il pericolo sismico è definito come il prodotto tra la probabilità che un determinato terremoto si verifichi in un certo intervallo di tempo (pericolosità) e il danno, sia economico che umano (esposizione), che esso causerebbe nelle parti meno resistenti dell’ecosistema umano (vulnerabilità).

Dati questi parametri, possiamo affermare che la Sicilia si caratterizza per:

  • una pericolosità sismica molto alta a causa delle frequenza e intensità dei terremoti che si sono succeduti in epoca storica;
  • una vulnerabilità notevole, legata alla fragilità del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale e dei servizi;
  • un’esposizione elevata per via della densità abitativa e per la presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale in zone interessate da faglie che sono ancora attive.

La Sicilia risulta particolarmente esposta ai rischi sismici perché è collocata lungo la zona di contatto tra l’Europa e l’Africa, che continuano ad avvicinarsi alla velocità di 7 mm all’anno. La placca africana a sud e quella europea a nord, scontrandosi, provocano la rottura delle rocce in profondità, che liberano sotto forma di terremoto l’energia accumulata dai movimenti della crosta terrestre. Come si vede, quindi, il caso siciliano è diverso da quello dei Campi Flegrei in Campania, dove invece le scosse registrate dipendono dal fenomeno del bradisismo.

È importante osservare, ancora con le parole del professor Caliò, che “le costruzioni prima del 1981 (anno in cui la Sicilia è stata classificata zona sismica, nda) consideravano soltanto i carichi gravitazionali ed escludevano le sollecitazioni sismiche, che vanno in tutte le direzioni”.

Gli edifici delle città siciliane sono progettati per soli carichi verticali e, continua Ivo Caliò “hanno bassa resistenza sia per carichi orizzontali che per carichi verticali; hanno una bassissima capacità di subire deformazioni senza raggiungere la rottura degli elementi strutturali; subiscono collassi fragili locali dovuti a insufficienti armature a taglio ed è ricorrente la presenza di degrado da corrosione. Inoltre, sono strutture incapaci di ridistribuire i carichi in occasione di crisi locali degli elementi strutturali con una propensione al collasso progressivo”.

In certi casi la soluzione migliore sarebbe quella di demolire e ricostruire da zero. In occasione del forum saranno analizzate tutte le alternative possibili, in rapporto al rischio alla scala urbana.

Il caso di Catania

Il capoluogo etneo è indicato dagli esperti tra le province più esposte al pericolo sismico. Nel 1693 la città è stata interessata dal terremoto della Valle del Belice e nel 1818 da un sisma di magnitudo 6.3 con epicentro ad Acireale. Per citare un evento tra i più recenti, si ricorda anche il terremoto di Viagrande del 2018 che ha registrato una magnitudo di 4.9 della scala Richter.

Eppure, nell’ultima mappa del rischio sismico in Sicilia, Catania è rimasta in fascia 2 e per questo non ha avuto accesso alle misure previste per gli interventi di consolidamento infrastrutturale e del patrimonio edilizio, sia pubblico che privato.

L’aggiornamento ha suscitato le critiche dei sindacalisti, ma la questione è spinosa e presenta aspetti scientifici e storici di cui tener conto. Come riporta il Corriere della Sera, il rischio per Catania è considerato medio-alto, ma i terremoti, anche se possono essere molto distruttivi come quello del 1693, sono rari e avvengono con intervalli di secoli. Va specificato, poi, che l’area è inserita in Zona sismica 2 per quanto riguarda le costruzioni civili, mentre rientra in Zona 1 per le strutture strategiche come gli ospedali.

Inoltre dal punto di vista normativo l’attuale classificazione sismica è utilizzata soprattutto per la gestione e la pianificazione territoriale. Per i nuovi edifici, infatti, bisogna fare riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzioni (NTC). Gli studiosi aggiungono che le mappe (sia di pericolosità che di classificazione sismica) fotografano un “istante storico della sismicità” e sono arricchite periodicamente con nuovi dettagli. Catania in futuro potrebbe anche cambiare classificazione e per questo, adesso, è fondamentale intervenire e consolidare per scongiurare i rischi derivanti da un altro “Big One”, un’altra forte scossa di terremoto come quelle che la nostra terra ha già registrato.

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